Più forti dell’acciaio

Il film documentario di Mani Tese sull’impatto sociale e ambientale dell’industria siderurgica raccontato con gli occhi di chi non si arrende.

Tre persone, tre vite diverse, tre luoghi distanti. Tutti legati da un unico filo conduttore: l’acciaio. Simbolo dell’industria estrattiva e siderurgica mondiale, l’acciaio fa da ingombrante sfondo al nuovo, intenso, lungometraggio commissionato da Mani Tese alla regista Chiara Sambuchi.

PIÙ FORTI DELL’ACCIAIO” è un vero e proprio viaggio emotivo sulle conseguenze sociali e ambientali di una delle filiere produttive più controverse, che inizia dalla più grande miniera a cielo aperto del mondo nello stato amazzonico del Parà, in Brasile, prosegue fino all’impianto siderurgico di Taranto e termina a Duisburg, nell’ ex bacino della Ruhr, in Germania.

Mani Tese prosegue il suo impegno per la promozione di una cultura di impresa che sia capace di coniugare la redditività con il rispetto dei diritti umani e dei cicli naturali attraverso la proposta di un documentario profondo, a tratti commovente, che vuole ‘volare alto’ rispetto alla cronaca di questi giorni e innescare un dibattito pubblico sulla transizione industriale richiesta dalle sfide del cambiamento climatico e degli altri obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, lanciati nel 2015 con orizzonte al 2030.

PROIEZIONI IN PROGRAMMA:

MILANO, 18 DICEMBRE 2019 ORE 21

CINEMA ANTEO
Seguirà dibattito con ospiti:
Danilo De Biasio, direttore del Festival dei Diritti Umani
Lucia Capuzzi, giornalista di Avvenire
Proiezione a ingresso gratuito previa iscrizione a questo link:
https://www.eventbrite.it/e/biglietti-piu-forti-dellacciaio-il-docufilm-di-mani-tese-a-milano-85572322119

TARANTO, 28 DICEMBRE 2019 ORE 11

CINEMA BELLARMINO
Seguirà dibattito con ospiti:
Grazia Parisi, protagonista del film
Luciano Manna, fondatore di VeraLeaks
Proiezione a ingresso gratuito previa iscrizione a questo link:
https://www.eventbrite.it/e/biglietti-piu-forti-dellacciaio-il-docufilm-di-mani-tese-a-taranto-85957893373

Più forti dell’acciaio

Attraverso l’osservazione intima del quotidiano dei tre protagonisti, in tre luoghi simbolo dell’industria estrattiva e della produzione siderurgica, “PIÙ FORTI DELL’ACCIAIO” descrive l’impatto della filiera dell’acciaio attuale sui delicati equilibri naturali e sulla salute di chi vive a ridosso dei siti produttivi.

C’è Pixininga, agricoltore brasiliano che lotta per la sopravvivenza dei contadini nella regione del Carajas, ricchissima di ferro ed altri minerali e occupata, per più della metà della sua superficie, dal gigante dell’estrazione mineraria Vale. Egbert, che nella cittadina tedesca di Duisburg, nel cuore del bacino della Ruhr, lavora strenuamente alla conversione di un enorme stabilimento siderurgico, sanato dopo la sua chiusura, in un parco naturale: qui oggi tra gli altiforni ormai spenti si va in bicicletta, al cinema all’aperto e accanto ai vecchi nastri trasportatori si ammirano mostre d’arte contemporanea. E c’è Grazia, pediatra tarantina, che ha un chiodo fisso: la chiusura dell’acciaieria della sua città, per non dover più spiegare ai suoi piccoli pazienti perché i bimbi, e i loro genitori, a Taranto muoiono prima degli altri.

Il film documentario narra non solo il quotidiano ma anche lo sforzo personale che ognuno dei tre protagonisti compie contro uno sfruttamento delle risorse votato al sovra consumo senza fine. Tra lotte per mantenere il possesso delle terre e la vita scandita tra colazioni a base di latte appena munto e raccolta delle banane, Pixininga conduce lo spettatore in un viaggio tanto affascinante quanto tragico nel cuore della foresta amazzonica violata, fino all’immensa miniera di Serra Norte, la più grande a cielo aperto del mondo. In perenne movimento tra le strade del rione Tamburi, il quartiere accanto all’acciaieria tarantina in cui vivono molti dei suoi piccoli assistiti, Grazia incarna la lotta ventennale delle associazioni e dei comitati cittadini contro l’inquinamento causato dalle emissioni di diossina delle ciminiere e dalla perenne esposizione alle polveri di ferro che ricoprono strade e palazzi della città pugliese. Egbert, custode del recupero di una delle regioni storicamente più inquinate di Europa, suggerisce allo spettatore come agire individualmente, in maniera semplice ma coerente ed efficace, per resistere al richiamo di un modello di consumo ormai non più sostenibile, irrispettoso dei cicli naturali e dei diritti fondamentali delle persone e delle loro comunità.

NOTE DI REGIA di Chiara Sambuchi

“L’idea di un film documentario nasce per me sempre da un incontro, da una storia personale, prima ascoltata ed osservata, quindi narrata in maniera intima, restando sempre più vicina possibile al protagonista, partecipando a cuore aperto alle sue preoccupazioni, ai suoi sogni ed alle sue speranze, guardando insomma il mondo con i suoi occhi.

La sfida più grande di “PIÙ FORTI DELL’ACCIAIO” è stata per me quella di trovare un linguaggio filmico ed una narrazione capaci di coniugare tre storie personali, con il racconto globale della filiera dell’acciaio e delle sue distorsioni. Descrivere dunque da un lato lo sfruttamento sconsiderato e violento delle risorse e l’indifferenza bieca al dolore altrui, in nome del profitto. Ma anche coniugarlo con il più umano dei racconti, la vita vera di tre persone accomunate da una casualità: vivere in luoghi chiave per gli interessi di grandi gruppi siderurgici mondiali.

Ne è nato un racconto lontano dalla cronaca dei fatti, dai numeri e dalle statistiche, in cui è lo sguardo di Grazia, Egbert e Pixilinga il filo rosso che ci guida da un luogo all’altro e attraverso il loro percorso emotivo di rabbia, frustrazione e speranza. Più che spiegarci, i nostri protagonisti ci mostrano, talvolta anche attraverso silenzi e soggettive, la vita nei luoghi della filiera dell’acciaio.

“PIÙ FORTI DELL’ACCIAIO” è un film sulla presa di coscienza, sulla volontà indistruttibile di voler scrivere un nuovo corso per il proprio mondo e sulla lotta a tratti estenuante a cui i nostri tre eroi sono disposti, pur di riuscirci.  È la risposta positiva e piena di speranza ad una foresta amazzonica deturpata dalla voragine della miniera di ferro di Serra Norte, una ferita aperta con quel suo color rosso scuro, doloroso da osservare nel fitto verde della foresta pluviale. È la reazione a decenni trascorsi a Taranto respirando diossina e seppellendo madri, padri, amici e sempre più spesso i propri figli, vittime di cancro. O ancora il risveglio dopo decenni di tremendo inquinamento nel bacino della Ruhr, che finalmente si riappropria di sé.

Cruciale nel film sono il ruolo della natura e la contemplazione della sua la bellezza: quando con gli altiforni finalmente spenti la natura si riappropria dei suoi antichi spazi a lungo perduti, ma anche dove le ciminiere la deteriorano, o quando è minacciata della miniera a cielo aperto e dell’industria dell’estrazione. Perché questo è quel che lo sguardo dei nostri protagonisti ci rimanda e ci ricorda anche nei momenti più tragici del loro racconto.

Mi sono chiesta spesso in fase di montaggio se siano i miei protagonisti a contemplare la natura o sia lei ad osservare loro. La verità risiede probabilmente in una continua osservazione reciproca, un gioco perenne di rimandi e fulcro dello sviluppo drammaturgico di “PIÙ FORTI DELL’ACCIAIO”: quella che all’inizio del film è un’intuizione vaga diventa nel corso del documentario una certezza inossidabile. La necessità, per salvare noi ed il pianeta, di cambiare rotta e modificare radicalmente il corso della filiera dell’acciaio. Subito. Senza compromessi. Su scala globale”.

SCHEDA DEL FILM

Genere: film documentario
Anno di produzione: 2019
Durata: 60 minuti
Regia: Chiara Sambuchi
Direzione della fotografia: Paolo Pisacane, Ralf Klingelhöfer
Montaggio: Simone Veneroso
Casa di produzione: TV Plus, Berlino
Progetto: Mani Tese

PIÙ FORTI DELL’ACCIAIO è un documentario prodotto all’interno del progetto “New Business for Good”, realizzato con il contributo di Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, e supporta il programma di Mani Tese MADE IN JUSTICE per una cultura dei diritti umani e del rispetto dell’ambiente nelle aziende e nella società.

PROTEGGERE LE DONNE IN GUINEA-BISSAU TRA MILLE DIFFICOLTÀ

Proseguono le attività della rete creata da Mani Tese contro la violenza di genere in un Paese ancora devastato dalla mutilazione genitale femminile e dai matrimoni forzati, dove le donne devono chiedere il permesso per uscire di casa. Il nostro aggiornamento dal campo.

In Guinea-Bissau la violenza sulle donne assume diverse forme ed è una piaga davvero difficile da estirpare.

Lo sanno bene i nostri cooperanti, collaboratori e collaboratrici in loco, che in questi giorni hanno partecipato a una sessione di formazione sul tema, nell’ambito del nostro progetto di contrasto alla violenza di genere “LIBERE DALLA VIOLENZA” finanziato dall’Unione Europea.

La violenza sulle donne in Guinea-Bissau trae origine da una cultura patriarcale molto rigida. Le donne devono chiedere il permesso al marito anche solo per uscire, persino per andare dal medico.

Tante bambine subiscono ancora la terribile pratica della mutilazione genitale. Molte ragazze sono costrette a sposare uomini, spesso ben più anziani di loro, che non hanno scelto.

Le bambine che pure frequentano la scuola non riescono a concentrarsi nello studio perché sanno che, terminate le lezioni, dovranno tornare a casa a cucinare, a lavare i vestiti e a vendere i prodotti al mercato.

Le loro madri non hanno alcun potere: sono sempre i padri o gli zii a decidere del loro destino.

In un contesto simile, in cui la violenza di genere è normalizzata e dove i “conflitti” violenti domestici si risolvono in famiglia, è difficilissimo far rispettare la legge. Se una donna abusata accusa i suoi aggressori, infatti, rischia di essere allontanata e ripudiata dalla comunità.

Nella maggior parte dei casi denunciati di violenza di genere, inoltre, la prassi è che la polizia applichi all’aggressore una detenzione preventiva di due giorni, dopo la quale, l’aggressore potrà tornare in libertà senza sottostare ad alcuna misura di allontanamento. La denuncia inoltre, nella maggior parte dei casi, si risolve tramite mediazione.

Se si parla di violenza psicologica, poi, i cui danni non sono fisicamente visibili, la denuncia è inesistente.

Per tutti questi motivi, nei villaggi le vittime e le loro famiglie sono totalmente disincentivate alla denuncia. Non è migliore la situazione in città, dove gli aggressori denunciati, se benestanti, non vengono puniti o corrompono i funzionari giudiziari.

 “I reati come il riciclaggio di denaro e il traffico di droga vengono risolti in maniera rapida e sono puniti secondo la legge, ma quando si tratta di giudicare un crimine contro la persona – in particolare contro donne e bambini – i casi vengono letteralmente messi da parte”. A raccontarcelo è un magistrato, coordinatore di GEIOJ (Gabinetto di Studi e Informazione e orientamento Giuridico), partner locale di Mani Tese.

Da due anni, infatti, Mani Tese per far fronte a questa situazione ha dato vita a una rete di assistenza e accoglienza delle vittime di violenza di genere e di matrimoni forzati e precoci composta da operatori giuridici e psicosociali, agenti di polizia e organizzazioni della società civile. Fanno parte dell’equipe multidisciplinare i tecnici dei centri di accesso alla giustizia, dell’istituto Donna e Infanzia, la polizia, il team di Mani Tese, le organizzazioni locali FEC e AMIC (Associazione Amici dei Bambini).

Negli ultimi due anni, l’equipe ha viaggiato molto nelle quattro regioni d’intervento del progetto supervisionando i casi di violenza, lavorando instancabilmente nel contrasto del fenomeno e mantenendosi aggiornata attraverso delle formazioni specifiche.

Nei giorni scorsi, il 12 e 13 ottobre, l’equipe ha partecipato alla seconda sessione di formazione presso il centro di accoglienza di AMIC per le vittime di violenza di genere e matrimonio forzato e precoce, recentemente riaperto proprio grazie al sostegno di Mani Tese nell’ambito del progetto LIBERE DALLA VIOLENZA.

La formazione ha avuto come focus il confronto fra gli operatori, il miglioramento delle capacità di assistenza dell’equipe, l’aggiornamento sulle nuove normative in ambito della violenza domestica (sconosciuta alla maggior parte degli operatori locali) e le modalità per evitare che le vittime che hanno il coraggio di chiedere aiuto vengano, in seguito alla denuncia, ri-vittimizzate.

Il compito della rete è molto difficile perché oltre a fornire assistenza alle vittime, gli operatori devono fare un immenso sforzo culturale per cambiare la mentalità maschilista delle comunità locali e dei loro stessi colleghi. La pandemia, inoltre, non è stata d’aiuto dal momento che ha arrestato il prezioso lavoro della rete sul territorio.

Gli operatori e le operatrici sanno di avere davanti a sé un lavoro davvero arduo ma non demordono.

Hanno, però, bisogno di sostegno. Dal momento che il bilancio dello Stato non è in grado di garantire alle vittime l’accesso alla giustizia e ai servizi di assistenza, per mantenere vive le attività contro la violenza di genere e per far sì che il centro di accoglienza resti aperto, occorrono finanziamenti che possano sostenere progetti di cooperazione internazionale come quello di Mani Tese.

Anche tu puoi fare la tua parte! Aiutaci a proseguire la difesa delle donne in Guinea-Bissau donando per il progetto LIBERE DALLA VIOLENZA:

https://manitese.it/progetto/libere-violenza-diritti-emancipazione-donne-bambine-guinea-bissau

Alcune foto della formazione:

MOZAMBICO, RIQUALIFICATI QUATTRO MERCATI NELLA PROVINCIA DELLA ZAMBEZIA

Gli interventi sono finalizzati al miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie, alla riorganizzazione degli spazi e all’aumento della sicurezza.

Nel luglio del 2018 è iniziato il progetto “Quelimane Agricola: produce, cresce e consuma sostenibile” nella provincia della Zambezia, in Mozambico. L’intervento, co-finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, si propone di rafforzare il food system locale promuovendo l’adozione di pratiche innovative e sostenibili in materia di produzione, marketing e consumo dei prodotti agricoli. 

A seguito di una richiesta dei commercianti della provincia della Zambezia, lo staff di Mani Tese – insieme al Municipio di Quelimane e ai diversi partner del progetto – ha identificato quattro mercati in cui intervenire per apportare alcune modifiche alle infrastrutture e alla governance.

I mercati sono stati selezionati tenendo conto delle comunità già coinvolte nel progetto Quelimane Agricola e del posizionamento strategico dei mercati stessi. Sono stati quindi individuati due mercati a Quelimane (Central e Aquima), uno a Namacurra e uno a Nicoadala. I lavori di riqualificazione sono già stati conclusi con successo in tre dei quattro mercati: nel mercato di Licuari a Nicoadala stanno comunque avanzando e a breve sarà inaugurato anche quest’ultimo.

Il 18 settembre è stato inaugurato il mercato Central a Namacurra in cui sono stati costruiti nuovi stand e sono stati riorganizzati gli spazi. L’8 ottobre, invece, il Sindaco di Quelimane Manuel de Araújo ha inaugurato i mercati Central e Aquima. Quest’ultimo lo scorso anno è stato oggetto di altri lavori di riqualificazione, sempre nell’ambito di progetti di Mani Tese.

In questi due mercati a Quelimane sono stati ricostruiti o, dove già presenti, ripristinati i sistemi fognari che si trovavano in condizioni precarie e sono stati costruiti nuovi servizi igienici per migliorare le condizioni igienico-sanitarie di commercianti e clienti, elemento ancor più necessario in questo momento di emergenza a causa della pandemia di Covid-19. 

Sono state poi identificate misure sia infrastrutturali che di governance per l’aumento della sicurezza all’interno dei mercati, per meglio contrastare possibili furti ed episodi di vandalismo durante le ore notturne. Ad esempio sono state realizzate opere di illuminazione notturna che oltre a garantire una maggiore sicurezza rendono anche più facilmente accessibile il mercato nelle ore serali.

In ogni mercato sono stati riorganizzati efficacemente gli spazi per separare gli stand che vendono prodotti differenti (carne, pesce e verdure) e sono stati realizzati anche workshop online, in collaborazione coi Comuni di Milano e Reggio Emilia, per migliorare la gestione dei mercati e la loro sicurezza in tempo di Covid-19.

Qui di seguito alcune foto delle riqualificazioni dei mercati e delle inaugurazioni:

DISTRIBUITI KIT PER L’AGRICOLTURA IN BURKINA FASO

Dopo mesi di lavoro sono stati donati kit per l’agricoltura a 201 contadine di Ouagadougou.

Sono stati mesi di duro lavoro, ma ce l’abbiamo fatta! Nell’ambito del progetto “Imprese sociali innovative e partecipazione dei migranti per l’inclusione sociale in Burkina Faso” cofinanziato da AICS e Fondazione Maria Enrica, da due anni (e un po’) stavamo lavorando su un’attività molto speciale, ovvero la distribuzione di kit per l’agricoltura ai contadini che lavorano all’interno del perimetro urbano della capitale.

Un’operazione non semplice, partita da un censimento puntuale di tutti gli agricoltori di Ouagadougou che ha permesso, non solo di conoscerne il numero (più di 3 mila) e i nomi, ma anche di identificare le caratteristiche dei siti e i mezzi di produzione di ciascuno.

Conclusa questa prima parte di lavoro, a dicembre 2019, siamo passati, con non poche difficoltà legate alla pandemia Covid-19, all’acquisizione dei kit (201 tra kit composti da materiali come rastrello, zappa, carriola, innaffiatoio, ecc. e motopompe – in particolare 151 kit e 50 motopompe) e in seguito alla scelta dei beneficiari, che non è stata affatto semplice.

Prima di tutto volevamo accertarci della trasparenza dell’operazione e poi abbiamo dovuto identificare, insieme alla Marie di Ouagadougou, nostro partner principale in questa azione, i criteri da applicare per la selezione.

Abbiamo voluto prima di tutto che i beneficiari fossero donne, poi che fossero donne da cui dipende il bilancio familiare, in seguito che fossero datrici di lavoro per altre persone, che fossero in ristrettezza di materiali e che ciononostante si impegnassero nella produzione di più tipi di ortaggi.

Inoltre abbiamo voluto che non fossero concentrate tutte nello stesso sito ma si trovassero in vari luoghi dell’area di Ouagadougou. Infine abbiamo dovuto valutare chi, più di altre, necessitasse della motopompa.

Dopo questo lavoro certosino, fatto alla presenza di una commissione che garantisse imparzialità composta da noi di Mani Tese, dal partner ACRA, dalla Marie di Ouagadougou, dall’associazione degli agricoltori e vivaisti di Ouaga e da un rappresentante del Ministero dell’Agricoltura, abbiamo dovuto contattare tutte le beneficiarie e le autorità e organizzare la cerimonia per la distribuzione dei doni, un altro lavoro che ha richiesto pas mal de temps, soprattutto per riuscire a far convergere le agende di tutti gli invitati. Ma alla fine, il 4 settembre scorso, ci siamo riusciti.

La cerimonia si è tenuta alla Maison du Peuple a Ouagadougou alla presenza, oltre che delle beneficiarie, della stampa e delle autorità, anche di un rappresentante dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, che ha espresso la sua soddisfazione per l’iniziativa.

Non nascondiamo che anche distribuire praticamente i doni sia stato un po’ difficoltoso, soprattutto verificare l’identità delle beneficiarie che a volte, nella lista del censimento, erano registrate col nome del marito o col soprannome che non corrispondeva alla loro carta d’identità… Ma insomma, incrociando diversi dati, alla fine siamo riusciti anche in questa impresa! Non solo, perché per quanto riguarda le motopompe, il fornitore ha anche radunato le beneficiarie durante il weekend per testarne il funzionamento una ad una e per insegnarne loro l’utilizzo.

È stata dunque un’attività complessa e lunga, ma siamo contenti dell’attenzione che abbiamo dedicato e siamo sicuri della qualità del nostro lavoro e della sua importanza, perché sono quelle donne, che hanno talvolta accolto il dono con le lacrime agli occhi, che sfamano la città più grande di questo Paese, destinata a diventare una megalopoli nel giro di qualche anno. Loro, che tutte le mattine, a partire dalle 3:30 vediamo ricurve sui campi intente a zappare.

Qui di seguito alcune foto della consegna dei kit.

Una web serie dedicata all’imprenditoria sostenibile in Burkina Faso

20 video per raccontare le storie del progetto “Imprese sociali innovative e partecipazione dei migranti per l’inclusione sociale in Burkina Faso”.

È on line sul canale YouTube di Mani Tese la web serie “Imprese per crescere insieme in Burkina Faso”, una raccolta di 20 video (con sottotitoli in italiano e francese) che vuole raccontare, tramite immagini e parole, le storie delle 20 imprese selezionate dal progetto “Imprese sociali innovative e partecipazione dei migranti per l’inclusione sociale in Burkina Faso”. Sono le voci dei nuovi imprenditori e delle nuove imprenditrici sostenuti da Mani Tese che, con la loro attività, contribuiscono a creare una filiera agroalimentare sostenibile di qualità nel Paese.

Il progetto, cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) e dalla Fondazione Maria Enrica, ha l’obiettivo di contribuire al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione rurale in Burkina Faso favorendo lo sviluppo di attività produttive, imprenditoriali e innovative, valorizzando le produzioni agricole locali e agroecologiche e promuovendo il coinvolgimento di donne, giovani e migranti in Italia. Il progetto mira inoltre a promuovere i prodotti di qualità di piccoli produttori locali che difficilmente riescono a collocarsi sul mercato. 

Cliccate sui player qui sotto per guardare i video o andate direttamente alla playlist su YouTube.

 

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10. Il riso “Gras” di Aliguetou

Aliguetou si è unita alla cooperativa Zekoula Panga per mettere a disposizione la sua esperienza e imparare nuove cose: scopri la sua storia!

Zekoula Panga significa “l’unione fa la forza” e Aliguetou ha scelto di far parte di questa cooperativa nel 2014, quando aveva 36 anni, perché voleva mettere la sua esperienza al servizio della comunità e, nello stesso tempo, accrescere le sue conoscenze e capacità, condividendo e ricevendo idee, esperienze e metodi di lavoro.

Aliguetou vive a Bittou dove, con le sue colleghe di Zekoula Panga, si occupa dell’étuvage del riso, ovvero una precottura del riso al vapore, che mantiene le proprietà nutritive della materia prima. Il loro riso, sostiene Aliguetou, è il migliore, perché prendono il lavoro molto seriamente e utilizzano un riso di qualità, da produzione agroecologica, senza pesticidi per il benessere del consumatore e dell’ambiente, e selezionato e pulito in modo da non presentare impurità.

Aliguetou ci propone poi il suo piatto preferito a base di riso (che poi è anche tra i preferiti della capoprogetto, che però dice così di tutti i piatti, quindi forse in realtà non fa testo): il riz gras al pesce. Per prepararlo prima di tutto bisogna tagliare i “condiments” ovvero tutte le verdure e le spezie che daranno sapore e colore al piatto (cipolle, cavoli, peperoni dolci, melanzane viola e melanzane locali – simili a un pomodoro cuore di bue nell’aspetto), dopodiché si mettono a cuocere le verdure per 5 minuti in olio abbondante (altrimenti il riso non viene abbastanza “gras”!) e si aggiunge quindi dell’acqua (quantità da definire in base a quanto riso si voglia ottenere: qui meno di un paio di kg alla volta non se ne fa), del soumbala e del pesce secco o fritto. Si lascia bollire circa una mezz’oretta e si aggiunge il riso étuvé lasciandolo cuocere circa una ventina di minuti. Poi si spegne il fuoco, si copre la pentola e si lascia altri 5-10 minuti prima di servire nel piatto, ancora caldo. Una coccola per le grandi occasioni!

Aliguetou ride quando le chiediamo di spiegarci la ricetta, perché le sembra impossibile che ci sia ancora qualcuno nel mondo che non l’ha provata. Quindi ora dobbiamo tutti impegnarci per darle soddisfazione e assaggiarla!

Aliguetou ci dice anche di essere molto orgogliosa perché grazie al progetto “Imprese” ha imparato, così come le sue colleghe, a leggere e scrivere in lingua locale e questa alfabetizzazione le consente ora di gestire con cognizione di causa i beni materiali e finanziari della cooperativa.

Aliguetou, inoltre, spera che Zekoula Panga diventi una grandissima cooperativa che possa conquistare molti mercati e in questo senso, grazie al contributo della Fondazione ACRA e all’impresa sociale Ke du Burkinabé, si stanno facendo degli studi e delle analisi dei prodotti della cooperativa, riso rosso in particolare, per cercare di trovare un canale di commercializzazione nel mercato della capitale. Più nel breve termine, invece, il desiderio sarebbe quello di ingrandire la sede che, grazie al progetto, è stata equipaggiata di numerosi materiali come la pompa dell’acqua e la decorticatrice per il riso che potete vedere nelle foto qui di seguito.

Pompa dell’acqua
Decorticatrice per il riso
La nostra cooperante Giulia Polato che prepara il “riz gras”
Il “riz gras” servito in tavola

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