ONG: LA POLITICA NON STRUMENTALIZZI CHI SALVA VITE UMANE

Condividiamo e diffondiamo di seguito il comunicato di AOI (di cui fa parte anche Mani Tese), CINI e Link2007 in merito alle recenti accuse di alcuni parlamentari e personaggi politici nei confronti delle Ong umanitarie.   Le Ong rispondono a testa alta alle accuse, continuando a salvare vite umane.   L’Associazione delle organizzazioni italiane di […]

Condividiamo e diffondiamo di seguito il comunicato di AOI (di cui fa parte anche Mani Tese), CINI e Link2007 in merito alle recenti accuse di alcuni parlamentari e personaggi politici nei confronti delle Ong umanitarie.

 

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Le Ong rispondono a testa alta alle accuse,
continuando a salvare vite umane.

 

L’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale “AOI”, il Coordinamento italiano delle ONG nternazionali “CINI”, “LINK 2007 Cooperazione in rete”, in rappresentanza delle Ong e Osc impegnate in cooperazione internazionale, aiuto umanitario e accoglienza di rifugiati e migranti, esprimono indignazione e condanna in merito alle gravi dichiarazioni e accuse di alcuni parlamentari e personaggi politici nei confronti delle Ong umanitarie che con navi private soccorrono in mare i naufraghi provenienti dalle coste libiche, vittime dei trafficanti.

 

In particolare ci riferiamo alle dichiarazioni dell’on.le Luigi di Maio, del M5S, Vice Presidente della Camera.
Sue le parole: “le organizzazioni non governative sono accusate di un fatto gravissimo, sia dai rapporti Frontex che dalla magistratura, di essere in combutta con i trafficanti di uomini, con gli scafisti, e addirittura, in un caso e in un rapporto, di aver trasportato criminali”. Egli definisce ‘ipocrita’ chi intende difenderle, dimostrando il grado di superficialità, ignoranza della realtà e strumentalizzazione che sta diffondendosi anche ai più alti livelli istituzionali.

 

Esprimiamo pubblicamente e con forza il nostro pieno sostegno alle Ong impegnate nei soccorsi in mare, che da qualche mese stanno subendo attacchi gravissimi e non giustificati per il solo fatto di salvare vite umane. Il presunto “ruolo oscuro” che viene genericamente loro addebitato dimostra la volontà di denigrare il mondo dell’umanitarismo, che per definizione agisce secondo i principi di umanità, imparzialità, non discriminazione, indipendenza.

 

L’aumento drammatico delle morti in mare e le migliaia di salvataggi a seguito dei naufragi dei barconi dei trafficanti – dovuti anche alla mancanza di canali regolari di ingresso in Europa – sono da alcuni ormai considerati una normalità e si rischia l’assuefazione a queste tragedie evitabili e alle sofferenze che esse comportano.

 

Ma c’è chi, nella società, nella politica e nei media non accetta questo tipo di “normalità” e non tollera il rumore sguaiato e grossolano di chi, senza avere alcuna visione, strategia politica e capacità propositiva, si rifiuta di guardare la realtà e di affrontarla salvaguardando i valori di umanità e solidarietà, che sono alla base della nostra convivenza. A loro facciamo appello, a livello governativo, politico, sociale, mediatico, perché si uniscano a noi nel reagire a questa deriva che colpevolizza ingiustamente e strumentalizza le Ong, invece di interrogarsi sulle responsabilità delle politiche europee in relazione alle morti in mare.

 

E’ di fronte al ritiro delle istituzioni, a politiche migratorie fallimentari e alle scelte prevalentemente securitarie e di corto respiro dell’Unione europea e degli Stati membri, che alcune Ong italiane ed europee si sono sentite in dovere di avviare nel Mediterraneo centrale attività di ricerca e soccorso di bambini, donne e uomini in balia delle onde e in grave pericolo di vita. Dando così fastidio a chi, pur di limitare gli arrivi, è disposto a chiudere gli occhi di fronte all’enorme tragedia umanitaria che, in definitiva, rappresenta il declino della nostra civiltà e dei suoi valori.
L’operato delle Ong, coordinato con i centri istituzionali operativi, non è purtroppo sufficiente per affrontare la tragedia del traffico di vite umane nel Mediterraneo occidentale, ma certamente ha contribuito e contribuisce in modo significativo a far sì che il numero di persone inermi in fuga da violenza, guerra e povertà non sia spaventosamente più ampio.

 

Nonostante le “notizie” di reati che vengono fatte circolare, finora nessuna Ong risulta essere stata accusata dalla magistratura. Qualora la magistratura stessa dovesse rilevare elementi a suo parere tali da procedere contro alcune, la nostra ferma richiesta è che venga fatta chiarezza al più presto. Ma con la medesima enfasi oggi chiediamo che cessi immediatamente ogni forma di generica denigrazione e diffamazione a mezzo stampa per pura strumentalizzazione politica. Le audizioni parlamentari in corso presso la Commissione Difesa del Senato stanno contribuendo a verificare l’operato delle singole Ong e chiarire eventuali equivoci ed escludere compromissioni delle organizzazioni umanitarie nei traffici di vite umane. Certamente l’Agenzia europea Frontex non ha mai definito ‘taxi del mare’ le imbarcazioni delle Ong, come invece l’on.le Di Maio ha scritto e detto in questi giorni.

 

Ricordiamo che anche l’operazione militare italiana di salvataggio “Mare Nostrum” è stata accusata nel settembre 2014 da Frontex di produrre un effetto di pull factor, inducendo indirettamente i trafficanti a portare sui gommoni un numero maggiore di persone nella certezza della loro ‘salvezza’ da parte delle navi militari italiane vicine alle acque libiche. Ma con la chiusura di “Mare Nostrum”, nel novembre dello stesso anno, le partenze sono continuate e perfino aumentate, contraddicendo oggettivamente la valutazione di Frontex. E’ la vicinanza dell’Europa il vero pull factor e le istituzioni politiche europee e italiane dovrebbero ben saperlo.

 

Le Ong impegnate nel soccorso in mare hanno più volte ribadito che non vi è, né potrebbe esserci, alcun interesse economico lucrativo nelle loro attività, rendendosi inoltre disponibili a qualsiasi controllo istituzionale in merito. Sono in mare per sopperire alla decisione di Frontex di “vigilare, non salvare”, operano in stretto raccordo con la nostra Guardia Costiera e le Capitanerie di porto, come confermato dal comando di Eunavfor Med.

 

Le loro attività di salvataggio sono realizzate con fondi privati, con il sostegno di fondazioni e attraverso libere donazioni di cittadini, senza finanziamenti pubblici. I vertici della Guardia di Finanza, ascoltati dalla Commissione Difesa del Senato, hanno poi negato l’esistenza all’oggi di prove di collegamenti fra Ong e organizzazioni che gestiscono il traffico di migranti, come invece si continua subdolamente ad affermare.

 

Nel nostro ruolo di rappresentanti di importanti reti di ONG e Organizzazioni della Società Civile, nel condannare la superficialità e la gravità delle citate affermazioni denigratorie delle attività umanitarie di ricerca e salvataggio delle Ong – oggi anche a livello di alte responsabilità istituzionali – ribadiamo l’esigenza che esse siano valutate dal Parlamento italiano: per la gratuità delle accuse che contengono e per la conseguente distorta informazione mediatica. Quest’ultima rischia di minare la fiducia dei cittadini e dei nostri stessi sostenitori in merito all’onestà, la trasparenza, l’efficacia degli interventi umanitari e di cooperazione internazionale, allontanando l’opinione pubblica dal ‘farsi protagonista’ della solidarietà attiva e della cooperazione per lo sviluppo dei Paesi più poveri, vero argine alle migrazioni della disperazione.

 

Silvia Stilli – Portavoce AOI
Antonio Raimondi – Portavoce CINI
Paolo Dieci – Presidente Link 2007

MOLTI ATTORI, MOLTE VIOLAZIONI NELLA LUNGA FILIERA DEL TESSILE

La filiera del tessile è complessa, con numerosi passaggi che vanno dalla coltivazione del cotone fino al confezionamento dei capi di abbigliamento. Questo contribuisce ad aumentare il rischio che al suo interno avvengano importanti violazioni di diritti umani, diritti del lavoro, diritti ambientali. L’elenco delle manifestazioni più eclatanti include lavoro forzato, peggiori forme di lavoro […]

La filiera del tessile è complessa, con numerosi passaggi che vanno dalla coltivazione del cotone fino al confezionamento dei capi di abbigliamento. Questo contribuisce ad aumentare il rischio che al suo interno avvengano importanti violazioni di diritti umani, diritti del lavoro, diritti ambientali. L’elenco delle manifestazioni più eclatanti include lavoro forzato, peggiori forme di lavoro minorile, mancato rispetto delle norme di base del diritto del lavoro, negazione delle libertà di associazione, discriminazione contro donne e migranti – e per quanto riguarda l’ambiente, utilizzo e smaltimento impropri delle acque e impiego di agenti chimici pericolosi.

Se i responsabili di queste violazioni sono molteplici, e includono in alcuni casi attori statali, sono sempre i lavoratori e le popolazioni delle zone in cui operano le imprese a pagarne le conseguenze. In passato l’attenzione tendeva a concentrarsi principalmente sulle fasi finali della filiera tessile, ma è evidente che la coltivazione e le fasi di filatura e tessitura non sono meno esposte a violazioni gravissime. Analogamente il concetto di responsabilità si è andato sempre più ampliando e articolando in concetti come liability, corporate social responsibility, due diligence.

Consapevoli della vulnerabilità della filiera tessile, e in linea con un più generale movimento internazionale che da tempo e con forza esige la tutela dei diritti umani rispetto agli interessi del business, sono andati moltiplicandosi gli sforzi per identificare e mitigare i rischi, e per monitorare e certificare processi e prodotti.

Complice anche una maggiore attenzione di consumatori e società civile, il business ha ideato nuove azioni per comunicare trasparenza e monitoraggio della filiera: iniziative di RSI, audit, ispezioni, programmi volontari di certificazione, monitoraggio e piani ampia-mente pubblicati di cambiamento e miglioramento. Non sono mancate le collaborazioni tra grandi multinazionali e i loro corrispettivi nel mondo delle organizzazioni non governative, per l’elaborazione di codici di condotta volontari, e per la limitazione dei danni e l’inclusione di categorie potenzialmente danneggiate dall’operato stesso del business.

Tuttavia molte di queste azioni hanno carattere volontario, sono pagate dalle stesse imprese, che possono scegliere discrezionalmente se e come accogliere critiche e suggerimenti. Seguire i soldi aiuta a comprendere le relazioni di potere. Se dunque non servono ad incidere in maniera significativa sulla realtà, se anche all’interno di catene produttive certificate e sottoposte ad audit possono avvenire tragedie immani come il crollo del Rana Plaza, il rischio è che siano solo rumore di fondo, conducendo a una situazione di responsabilità eccessivamente diffusa e diluita. E mentre si distoglie attenzione e pressione dai veri responsabili, deresponsabilizzando e disautorando stati ed entità sovranazionali, tutto, nel mondo reale, procede come prima: ‘business as usual’.

Mani Tese in India

L’industria tessile è tra le più antiche dell’India, e per il ruolo che ha assunto nei secoli, ha una rilevanza che trascende la sola sfera economica. Sfera economica che peraltro domina a pieno titolo: sebbene in leggerissima flessione nell’ultimo biennio, la produzione tessile rappresenta il 10% del totale della produzione manifatturiera, costituisce il 2% del PIL e rappresenta il 14% del totale delle esportazioni, con 45 milioni di persone impiegate direttamente nel settore, e 60 milioni impiegati indirettamente. A questi numeri occorre affiancare quelli relativi al cotone, principale coltura a valore economico del paese, e che vede impiegati direttamente poco meno di 6 milioni di contadini, e circa 50 milioni di persone impiegate in attività connesse alla lavorazione e al commercio del cotone.

Il Tamil Nadu, nel sud dell’India, è uno dei punti nevralgici soprattutto per quanto riguarda la lavorazione del cotone, ed è qui infatti che da oltre venti anni Mani Tese collabora con l’organizzazione non governativa SAVE. Sin da subito l’azione delle due organizzazioni si è concentrata sullo sfruttamento del lavoro minorile nell’industria tessile e del confezionamento, e con il mutare della situazione sul campo, è stato necessario ampliare non solo il campo dei beneficiari, ma anche degli interlocutori.

La forza lavoro impiegata, infatti, è ora composta prevalentemente da giovani e giovanissime donne, e da migranti provenienti dagli stati più poveri del nord del paese; entrambe categorie vulnerabili e vittime di gravissime violazioni che non sono peraltro occasionali, ma anzi strutturali e necessarie alle imprese per il raggiungimento di profitti sempre maggiori.

Le aziende per cui producono sono notissime multinazionali che qui commissionano l’intera produzione. Superate le campagne di boicottaggio e ‘name and shame’ a favore di un approccio multistakeholder, Mani Tese e SAVE continuano a essere impegnati in un effettivo e costante monitoraggio sul campo delle modalità di attuazione del business, in azioni di informazione e formazione della società civile e della popolazione locale, e in azioni di diretta assistenza alle lavoratrici e ai lavoratori vittime di violazioni. Particolare attenzione viene riservata ai casi più gravi di sfruttamento del lavoro minorile, e a pratiche illegali di reclutamento di lavoratrici nella maggior parte dei casi minorenni.

Quello che osserviamo è che la responsabilità della filiera tessile tende ad essere scaricata localmente. È necessario che oltre a un engagement delle aziende sul campo ci siano anche strumenti nazionali e internazionali che chiaramente indentifichino le responsabilità del mondo del business. Le legislazioni anti-schiavitù promulgate negli ultimi anni vanno in questa direzione, ma ad oggi paiono essere più efficaci nella formulazione che non nell’attuazione.

Quello che chiediamo è che il business sia ritenuto responsabile delle filiere produttive, e che i governi non si limitino a legiferare, ma promuovano e garantiscano anche il pieno ed effettivo rispetto di queste leggi.

Gli interessi economici non possono avere priorità sui diritti umani. Non si può accettare che la responsabilità di promuovere e proteggere questi diritti venga abdicata, né dagli stati, né dalle imprese, perché nessuno può più credere che la ricchezza prodotta dal basso possa non essere ripagata.

MOSTRA FOTOGRAFICA “DI SOLE E DI SABBIA. LE DONNE DEL MOZAMBICO”

Il 26 aprile, alle ore 17, nello spazio La Tenda di Modena verrà inaugurata la mostra fotografica “Di sole e di sabbia. Le donne del Mozambico” che resterà aperta fino al 3 maggio con ingresso gratuito. La mostra nasce all’interno del progetto Alfabetizzazione, formazione e diritti per lo sviluppo rurale in Zambézia – Mozambico realizzato […]

Il 26 aprile, alle ore 17, nello spazio La Tenda di Modena verrà inaugurata la mostra fotografica “Di sole e di sabbia. Le donne del Mozambico” che resterà aperta fino al 3 maggio con ingresso gratuito.

La mostra nasce all’interno del progetto Alfabetizzazione, formazione e diritti per lo sviluppo rurale in Zambézia – Mozambico realizzato da Mani Tese e Nexus Emilia-Romagna e co-finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena.

Gli scatti sono splendide immagini di vita quotidiana della fotoreporter Annalisa Vandelli. Ci mostrano uno squarcio di normalità scandita dal lavoro nei campi e al mercato, dai corsi di alfabetizzazione, dallo svago. In un attimo ci catapultano in una realtà estremamente diversa dalla nostra ma che pure permette di riconoscersi in un sorriso, una lieve malinconia o un desiderio di riscatto…Emozioni che appartengono a tutti.

Di seguito il programma dell’evento di inaugurazione della mostra (clicca sull’immagine per scaricare la versione in pdf):

ostra mozambico_mani tese_2017

INDUSTRIA, DANNO AMBIENTALE E DIRITTI UMANI: IL CASO ILVA DI TARANTO

Giovedì 27 aprile 2017, presso l’Università degli Studi di Milano, Mani Tese promuove un incontro pubblico organizzato nell’ambito del corso di Politica dell’ambiente sul caso Ilva insieme al Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali e al Centro di ricerca “Sostenibilità e Human Security: agende di cooperazione e governance” dell’ Università degli Studi di Milano.   […]

Giovedì 27 aprile 2017, presso l’Università degli Studi di Milano, Mani Tese promuove un incontro pubblico organizzato nell’ambito del corso di Politica dell’ambiente sul caso Ilva insieme al Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali e al Centro di ricerca “Sostenibilità e Human Security: agende di cooperazione e governance” dell’ Università degli Studi di Milano.

 

Interviene e modera Valerio Bini, Presidente di Mani Tese.

 

Evento Ilva_Mani Tese_2017

8. LOTTA ALLA SICCITA’

9. Pozzi di vita

7. AMIDU, ARTISTA DELL’ORTO

CONFERENZA INTERNAZIONALE “BUSINESS & HUMAN RIGHTS”

Il tema “imprese e diritti umani” è oggi al centro del dibattito sul ruolo che i tre grandi attori della cooperazione e della solidarietà internazionale – gli Stati, il settore privato e le Ong – sono chiamati ad assumere per raggiungere i nuovi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Ne parliamo il 4 maggio 2017 con il […]

Il tema “imprese e diritti umani” è oggi al centro del dibattito sul ruolo che i tre grandi attori della cooperazione e della solidarietà internazionale – gli Stati, il settore privato e le Ong – sono chiamati ad assumere per raggiungere i nuovi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

Ne parliamo il 4 maggio 2017 con il contributo di esperti nazionali e internazionali presso l’Università degli Studi di Milano

L’evento è promosso da Mani Tese Nazionale SHuS – Sostenibilità e Human Security: agende di cooperazione e governance ECCJ – European Coalition for Corporate Justice, DIReCT – Discrimination and Inequalities Research Strategic Team Università degli Studi di Milano, HRIC

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