Coltivare la pace in Burkina Faso

Il progetto SEmInA ha aiutato le famiglie del Nord ad affrontare la povertà e il terrorismo attraverso l’agroecologia. Le parole delle famiglie destinatarie del progetto che sono venute a trovarci nella nostra sede di Ouagadougou.

Il 15 ottobre 2015 a Milano viene siglato il Milan Urban Food Policy Pact da più di 100 città nel mondo e, in occasione del World Food Day, viene presentato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon. Dal 2016, nell’ambito di questo patto, è stato avviato un forum regionale sulle politiche alimentari cittadine per l’Africa francofona e nel 2021 il forum si è svolto proprio a Ouagadougou, in Burkina Faso.

La capitale del Paese già negli anni ‘60 aveva cominciato a parlare di politiche alimentari e nel 1976 aveva iniziato i lavori per sviluppare una cintura che avrebbe circondato la città come un vero e proprio polmone verde. L’obiettivo era ristorare 2.100 ettari per conservare la biodiversità, fornire prodotti forestali a scopo alimentare, proteggere la città dal vento, dalla polvere e dall’erosione del suolo.

Purtroppo, però, i lavori si sono interrotti nel 1990 e, da allora, la cintura verde di Ouagadougou è rimasta un’opera pubblica realizzata a metà, con solo 1032 ettari coltivati. La sottoscrizione del Milan Urban Food Policy Pact da parte del Comune di Ouagadougou ha però segnato l’inizio di un nuovo periodo di lavori per la riabilitazione della cintura con l’obiettivo di garantire la sostenibilità alimentare a una città nel pieno di un’esplosione demografica.

Bintou e Roland sono arrivati nella sede di Mani Tese a Ouagadougou dalla regione del Nord dopo un lungo viaggio compiuto insieme ad altre quattro persone per raccontare al nostro staff la loro esperienza a conclusione del progetto SEmInA – Superare l’emergenza incentivando l’agricoltura e per parlare della situazione del loro territorio. È la prima volta che i protagonisti di un progetto di emergenza in zone di difficile accesso umanitario e con i quali siamo stati costantemente in contatto per quasi due anni, riescono a raggiungerci in capitale.

Finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, il progetto SEmInA ha supportato le comunità di Bintou e Roland nello sviluppo di orti famigliari agroecologici, che hanno aiutato a superare l’insicurezza alimentare delle comunità in un contesto di forte emergenza.

I comuni di Nodin e Yalka, da cui provengono Bintou e Roland, si trovano nella provincia di Yatenga, dipartimento di Ouahigouya. Si tratta di zone molto colpite dagli attacchi terroristici, con un elevatissimo numero di sfollati interni. Nel solo mese di dicembre 2022, infatti, secondo i dati di UNHCR, la Regione del Nord contava 21.996 persone sfollate.

In Burkina Faso[1] la vita delle famiglie che vivono in situazioni precarie ruota spesso intorno alle attività di estrazione mineraria.

“Prima del progetto SEmInA molte famiglie si dedicavano alla ricerca dell’oro nelle miniere, soprattutto dopo che lo stato d’insicurezza era aumentato, spesso utilizzando tecniche artigianali dannose per la salute e l’ambiente” racconta Roland.

“Nella provincia di Yatenga – spiega Bintou, una destinataria del progetto di cui avevamo già parlato – diverse famiglie si dedicano alla ricerca dell’oro per provare a garantire un futuro migliore ai propri figli. Altre si dedicano all’agricoltura ma usano molti fertilizzanti. Grazie alle formazioni di Mani Tese, però, oggi abbiamo capito l’importanza di utilizzare le tecniche agroecologiche e, con gli strumenti forniti, abbiamo iniziato a lavorare la terra in modo più sano”.

Il progetto SEmInA ha infatti incentivato la produzione di miglio, ortaggi e la trasformazione di alcuni prodotti, la cui vendita ha aumentato il reddito famigliare. Nel corso del progetto i gruppi di famiglie coinvolti hanno ricevuto degli utensili per il lavoro agricolo, hanno partecipato alla costruzione di pozzi per irrigare i propri terreni e oggi possono usufruire anche di due centri di trasformazione per i propri prodotti.

Mani Tese è anche intervenuta in situazioni di emergenza fornendo assistenza alimentare ed economica a 120 famiglie vulnerabili.

Poter produrre il nostro cibo in modo sano ci permette di dar da mangiare alla famiglia senza dover andare a cercare l’oro e senza dover uscire dal villaggio, rischiando di incontrare milizie armate, o senza dover aspettare il cibo importato” afferma Roland.

La condivisione degli utensili per coltivare e la creazione di gruppi di gestione delle risorse comuni ha inoltre rinsaldato il legame tra le famiglie che, per via della paura, rischiava di rompersi. “Dopo le formazioni abbiamo fatto vedere quello che abbiamo imparato ai nostri vicini, e grazie al progetto, abbiamo riacquistato un po’ più di fiducia verso gli altri” conclude Bintou “Ora coltiviamo insieme, produciamo il nostro cibo e ci sentiamo un po’ più al sicuro, nonostante tutto”.

Il problema più grande in queste comunità, come ci ha raccontato Bintou, è infatti proprio la mancanza di fiducia. Le persone non si fidano più le une delle altre. Inoltre le scuole, come ha spiegato Roland, sono chiuse in molti villaggi e i ragazzi sono in giro senza poter studiare.

In un contesto del genere coltivare insieme diventa quindi uno strumento non solo per garantire cibo ma anche per costruire la pace.


[1] Drechesel F., Engels B., Schäfer M., «Les mines nous rendent pauvres » : L’exploitation minière industrielle au Burkina Faso, GLOCON Contry Report n°2, dicembre 2018, p. 5.