Trattato onu su diritti umani e imprese: a che punto siamo?

Proseguono i negoziati, ma mancano certezze sui punti chiave: cronaca sintetica della quinta sessione del Gruppo di Lavoro Intergovernativo delle Nazioni Unite, Ginevra, 14-18 ottobre 2019

di Riccardo Rossella e Giosuè De Salvo *

Dal 14 al 18 ottobre si è svolta a Ginevra la quinta sessione del Gruppo di Lavoro Intergovernativo delle Nazioni Unite per la definizione di un trattato vincolante su imprese e diritti umani. La sessione ha segnato una nuova tappa nel percorso verso l’adozione di uno strumento internazionale giuridicamente vincolante, necessario per superare l’attuale impianto basato su principi guida e codici di condotta di natura volontaria e garantire la responsabilità delle imprese – in particolare quelle a carattere transnazionale – in caso di abusi lungo le loro catene di fornitura e l’accesso alla giustizia da parte delle vittime.

Nei cinque anni trascorsi dal suo avvio ufficiale in seno al Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU nel 2014, il Gruppo Intergovernativo, presieduto dall’Ecuador, ha visto un crescente coinvolgimento da parte di Stati, organismi internazionali e realtà della società civile, portando alla definizione di una prima bozza di testo (Zero Draft) nel 2018 e di una nuova versione (Revised Draft) nel luglio 2019. Se l’avanzamento del processo negoziale e la crescente attenzione sul tema rappresentano segnali incoraggianti, la strada per il raggiungimento di un accordo realmente incisivo appare, però, ancora lunga. La sessione da poco conclusa ha infatti fornito un’ulteriore conferma delle resistenze dei Paesi che sono sede delle maggiori imprese multinazionali. In particolare, Russia e Cina hanno osteggiato a più riprese le proposte maggiormente progressiste, mentre i diplomatici dell’Unione Europea – che nel 2014, insieme a quelli degli Stati Uniti, avevano votato contro l’istituzione del gruppo di lavoro –  si sono nuovamente astenuti dal partecipare attivamente al negoziato adducendo come motivazione, ormai ricorrente, l’assenza di un mandato chiaro da parte della Commissione Europea e degli Stati Membri.
Le diverse posizioni tra Stati, oltre che tra i diversi stakeholder, fanno sì che quelli che dovrebbero essere gli elementi portanti del trattato restino ancora oggetto di discussione. La versione del testo alla base del round di negoziati appena conclusosi era del resto già stata bersaglio di critiche da parte delle organizzazioni della società civile, che a livello globale stanno attivamente contribuendo al processo e monitorandone l’evoluzione attraverso reti e campagne quali la Treaty Alliance, di cui Mani Tese fa parte, o la Global Campaign to Dismantle Corporate Power and Stop Impunity.
Tra i punti che destano maggiore preoccupazione rientrano: l’allargamento del campo di applicazione del trattato dalle società transnazionali a tutte le tipologie di società; l’incertezza rispetto all’effettiva previsione di obblighi giuridici direttamente in capo alle imprese, invece che agli Stati, facendole diventare per la prima volta nella storia soggetti del diritto internazionale; la necessità di superare il principio cardine secondo cui la case madre di una “big corporation” non può essere portata in giudizio in Europa o negli Stati Uniti o un’altra nazione industrializzata per rispondere degli abusi compiuti da imprese da loro controllate in Paesi terzi che non sono in grado di garantire un equo processo alle vittime.

Si tratta di questioni essenziali per il fine ultimo del trattato: superare l’attuale sistema di impunità di cui le imprese multinazionali godono e che consente loro di eludere le giurisdizioni dei singoli Stati, anche attraverso l’influenza esercitata sulle istituzioni finanziarie internazionali e sugli accordi commerciali e di tutela degli investimenti siglati tra gli Stati stessi. Non è un caso infatti che, oltre alle questioni aperte appena citate, un altro tema cruciale sia l’inserimento del principio di supremazia della protezione dei diritti umani sulla protezione dei diritti economici previsti da queste due tipologie di accordi. In sua assenza il rischio è quello di perpetrare un sistema in cui i meccanismi di risoluzione delle controversie tra Stati e imprese, i famigerati ISDS (Investment Dispute Settlement Body), sacrificano la sovranità dei popoli sull’altare degli interessi economici e finanziari.

Gli input alla discussione forniti dai vari stakeholder andranno ora ad alimentare una nuova bozza di testo, attesa entro giugno 2020. L’auspicio è che questa possa costituire un passo in avanti sostanziale nella giusta direzione, ovvero dotare la comunità internazionale di un trattato vincolante capace di garantire la protezione delle persone e delle comunità che si sono viste violate nelle loro libertà fondamentali e negli ecosistemi da cui dipendono. Mani Tese continuerà a monitorare il processo negoziale, collaborando in modo fattivo con la società civile globale per far sì che questo avvenga.

Per un approfondimento di quanto accaduto giorno per giorno durante la sessione negoziale si vedano i bollettini della European Coalition for Corporate Justice, di cui Mani Tese è membro.

 

*  Area Advocacy, Educazione e Campagne di Mani Tese