SFRUTTA ZERO, I POMODORI CHE COMBATTONO LE NUOVE SCHIAVITÙ

Quando arriviamo per la conferenza stampa, alla Masseria Boncuri tira un’aria da momento importante, silenziosa e sospesa. I ragazzi dell’Associazione Diritti a Sud chiacchierano nel portico con i migranti come hanno sempre fatto in questi mesi, ma non c’è troppa voglia di ridere o scherzare. La presidentessa Rosa Vaglio ci accoglie comunque con un sorriso […]

Quando arriviamo per la conferenza stampa, alla Masseria Boncuri tira un’aria da momento importante, silenziosa e sospesa. I ragazzi dell’Associazione Diritti a Sud chiacchierano nel portico con i migranti come hanno sempre fatto in questi mesi, ma non c’è troppa voglia di ridere o scherzare.

La presidentessa Rosa Vaglio ci accoglie comunque con un sorriso e ci guida all’interno. L’ingresso è tappezzato di cartelli con le regole e gli orari della casa, scritti in diverse lingue.

Da Novembre 2016, quando è stata riaperta, la struttura ospita 16 persone, quelle rimaste nelle campagne intorno a Nardò (in provincia di Lecce) dopo la chiusura della tendopoli dei lavoratori stagionali a fine settembre. In realtà, ci spiega Rosa, in 7 mesi ne sono state accolte molte di più, almeno una quarantina, grazie al lavoro dei volontari che hanno abitato fianco a fianco con gli accolti garantendo la propria presenza ventiquattr’ore su ventiquattro. Del resto Boncuri non è un posto qualunque. Le masserie sono nate come strutture legate al sistema del latifondo per ospitare contadini e braccianti stagionali, e molte di esse mantengono la loro funzione originaria. Solo che quelli che riempiono d’estate i campi del sud Italia oggi sono soprattutto migranti che arrivano per lavorare a qualsiasi condizione, diventando facile preda di forme di sfruttamento, e in alcuni casi di schiavitù. Fu proprio Boncuri il luogo simbolo dello sciopero dei braccianti del 2011, guidato da Yvan Sagnet, che portò l’attenzione dei media italiani sul fenomeno e segnò l’inizio di un lungo percorso fino alla legge contro il caporalato dell’Ottobre 2016.

Al piano terra, nel salone di fianco alle cucine, è stato allestito lo spazio per accogliere pubblico e giornalisti. Diritti a Sud ha convocato la conferenza stampa insieme al Consiglio italiano per i Rifugiati (CIR) per spiegare le ragioni della decisione di non proseguire nella gestione della struttura. Nei 7 mesi di gestione, affermano, l’amministrazione li ha lasciati soli, provvedendo solo in minima parte al sostegno delle necessità economiche di gestione a cui si è aggiunto un inverno inaspettatamente rigido, che ha visto perfino la neve cadere nel Leccese. Ma più di ogni altra cosa brucia la mancanza di progettualità, la situazione di provvisorietà continua che determina il verificarsi ogni anno dello stesso rituale di sfruttamento, delle stesse emergenze, degli stessi interventi straordinari.

“Con la fine del Ramadan, a partire dall’ultima settimana di Giugno il grosso degli stagionali arriverà come ogni anno per lavorare nei campi”, dice Angelo Cleopazzo, vicepresidente dell’associazione. “Nonostante le proposte che abbiamo portato al tavolo territoriale per l’accoglienza dei lavoratori stagionali non è stato fatto nulla per scongiurare il ripetersi di un’emergenza che si potrebbe e dovrebbe ampiamente prevedere”. È questo più di ogni altro il motivo che ha spinto Diritti a Sud a lasciare la gestione della masseria Boncuri.

“Ma ciò non significa che staremo con le mani in mano”, continua Angelo. “Il nostro unico riferimento sono le persone, e ad esse continuiamo a rivolgerci. È dal 2009 che siamo presenti a fianco dei migranti e continueremo a fornire assistenza e accompagnamento anche fuori dalla masseria, come sempre”.

Ma i ragazzi si Diritti a Sud non si fermano a questo: da qualche anno hanno in progetto di andare oltre l’accoglienza e l’assistenza e partire dal punto chiave, il lavoro. “L’idea ci è arrivata un paio di anni fa grazie agli amici dell’associazione Nezanet-Solidaria di Bari” racconta Rosa. “Vogliamo produrre passata di pomodoro tramite una filiera pulita, dalla semina alla trasformazione e la vendita. Siamo partiti nel 2015 con 2.500 bottiglie di passata di alta qualità senza sfruttamento del lavoro e lo scorso siamo arrivati a 13.000 bottiglie”.

L’idea ha preso forma con il progetto Sfrutta Zero, che si basa su un principio semplice: dimostrare che è possibile creare occasioni di lavoro dignitose senza distinzioni tra migranti, contadini e giovani precari, in un luogo dove la disoccupazione giovanile supera abbondantemente il 40%. E così i ragazzi di Diritti a Sud si sono organizzati, hanno affittato un terreno e hanno piantato le prime piantine finanziando l’avvio dell’attività tramite il crowdfunding. Mentre ci accompagnano al campo, più di un ettaro quest’anno, la soddisfazione e l’orgoglio sono evidenti. A comporre i filari ci sono 15.000 piantine di pomodoro Penny, più 2.500 di Fiaschetto e Regina. La produzione è portata avanti con il supporto di un agronomo che coordina il gruppo che segue i lavori agricoli, applicando metodi naturali. Altri si occupano di distribuzione e logistica, altri ancora di commercializzazione e vendita. Il risultato è un prodotto che da simbolo del caporalato può diventare simbolo di emancipazione, un messaggio molto potente vista l’attenzione mediatica sul tema.

La forza comunicativa di un pomodoro pulito e controcorrente sembra riflettersi positivamente sui circuiti di vendita. Il marchio Sfrutta Zero distribuisce le proprie passate su tutto il territorio nazionale, sfruttando le reti di acquisto eticamente orientate già esistenti. A differenza di altri progetti che mettono al centro l’agricoltura come strumento di coesione sociale, Diritti a Sud vende meno sul territorio locale e più in giro per l’Italia, dove si propone come buona pratica di cambiamento. Assieme al pomodoro la gente acquista anche la sua storia, testimoniata dai volti che compaiono sulle etichette e dai video postati sui social.

Un messaggio positivo, di attivazione e di proposta, riconosciuto nel 2017 a Diritti a Sud e al progetto Sfrutta Zero dal Premio Internazionale all’impegno sociale “Rosario Livatino – Antonino Saetta – Gaetano Costa”, uno dei più importanti premi antimafia che sostiene “l’impegno dei cittadini onesti, che quotidianamente operano per assicurare la civile convivenza”.

Articolo comparso su BioEcoGeo di agosto/settembre 2017