Minacce di genere

La condizione delle donne nel mondo, tra violenze, discriminazioni e lotte.

Di Stefania Prandi, giornalista e fotografa (sito web)

La foto di Mahsa Amini, stretta tra le mani di migliaia di manifestanti per le strade di Teheran, è diventata l’emblema della resistenza delle donne iraniane, oppresse dalle rigide regole del potere maschile. L’arresto e l’uccisione di Mahsa Amini per mano della Polizia morale, perché aveva liberato dall’hijab delle ciocche di capelli, hanno provocato un movimento che sta scuotendo le coscienze in alcune parti del mondo. La reazione del regime è stata feroce: si stima che dall’inizio delle proteste, in Iran, siano state assassinate oltre 280 persone, con più di 14mila arresti (sui quali pende il rischio della pena di morte).
La lotta delle donne in Afghanistan, dove dallo scorso anno, con la presa del Paese dei talebani, è stato spazzato via il percorso di ricostruzione dei diritti femminili degli ultimi vent’anni, è diventata di nuovo di piazza dopo l’attacco suicida del settembre scorso al centro educativo Kaaj di Kabul. L’attentato, di probabile matrice talebana, avvenuto mentre le studentesse della minoranza hazara dovevano sostenere l’esame di ammissione all’università, ha provocato 53 vittime, la maggior parte delle quali ragazze, e centodieci feriti. Immediate le proteste nelle province di tutto l’Afghanistan, da Teheran a Ghazni e Nangarhar. Le autorità hanno risposto picchiando le manifestanti e usando armi per disperderle.
Negli Stati Uniti, lo scorso 24 giugno, la Corte suprema ha ribaltato la storica sentenza del 1973 che aveva riconosciuto il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, legalizzandolo a livello federale. La cancellazione dell’accesso legale all’aborto – fondamentale per l’autodeterminazione individuale femminile – è un segnale inquietante e, di fatto, legittima le scelte antiabortiste di Paesi come l’Ungheria e
la Polonia.

©Stefania Prandi

Secondo le Nazioni Unite, l’impatto della pandemia Covid-19, le conseguenze del global warming e i conflitti geopolitici rappresentano una minaccia per l’uguaglianza di genere e i diritti delle donne in tutto il mondo. Ma, nonostante diversi rapporti internazionali abbiano sollecitato interventi a livello governativo, la maggior parte dei Paesi non ha prestato sufficiente attenzione alle dinamiche di genere.
I dati sull’occupazione femminile restano poco incoraggianti: le donne lavorano in molti casi ancora part-time per “conciliare” vita familiare e pubblica, continuano a svolgere la maggior parte delle attività domestiche e di cura e sono retribuite meno degli uomini. Il 75% della forza lavoro femminile nel Sud globale appartiene all’economia informale, dove è più difficile avere contratti regolari, diritti legali o protezione sociale; spesso le paghe non sono sufficienti per sfuggire alla povertà. Nei paesi a basso reddito solo un terzo delle ragazze conclude la scuola secondaria, contro quasi la metà dei ragazzi.
Durante i numerosi lockdown, le bambine e le adolescenti sono state le più penalizzate anche per il carico delle faccende domestiche, tra pulizie, preparazione dei pasti e cura dei fratelli.
Le gravidanze precoci tra le under quattordici, dovute alle violenze sessuali, sono aumentate di circa il 25% tra il 2020 e il 2021, con conseguente abbandono scolastico. Nel mondo 736 milioni di donne – quasi una su tre – hanno subito, almeno una volta nella vita, una violenza maschile. I tassi di depressione, disturbi d’ansia, suicidi, gravidanze non pianificate, infezioni sessualmente trasmesse e HIV sono più alti in chi ha vissuto abusi, molesti e stupri. La maggior parte degli “abusanti” sono partner o mariti. Al fenomeno non sfuggono le nuove generazioni: quasi una ragazza adolescente su quattro che ha avuto una relazione, è stata maltrattata, picchiata o violentata dal fidanzato. Lo stupro continua a essere uno dei crimini più diffusi nei conflitti in corso. Le Nazioni Unite, l’Unione Europea e molte associazioni hanno chiesto di indagare e punire le violenze sessuali utilizzate dai russi in Ucraina come arma da guerra. Il problema è l’estrema difficoltà di raccogliere prove e ottenere giustizia.

©Stefania Prandi

I movimenti internazionali delle donne da quasi un decennio prendono spunto da quelli dall’America latina che registra i tassi di femminicidio – termine con cui si intende l’uccisione di una donna a causa del suo genere di appartenenza, per motivi di odio, disprezzo, piacere o senso del possesso – più alti al mondo. Dal 2015, quando a Buenos Aires c’è stata la prima manifestazione femminista che ha dato origine al movimento Ni una menos, le mobilitazioni hanno coinvolto diversi paesi sudamericani, raggiungendo in poco tempo il resto del mondo.
Nel 2019 una ripresa della lotta è giunta dal Cile, con gli slogan del collettivo cileno Las Tesis: “La colpa non è mia, né di dov’ero, né di come ero vestita”; “lo stupratore sei tu”. Ma le azioni delle attiviste causano sempre dei contraccolpi, i cosiddetti “backlash”. Nel 2020, appena approvata la legge sull’“aborto sicuro” in Argentina, paesi come l’Honduras hanno blindato la costituzione
in chiave antiabortista.

L’ultimo rapporto dell’European Institute for Gender Equality (Eige) indica che nemmeno in Italia la situazione è rosea, per usare un eufemismo. In certi ambiti, come quello del lavoro, i dati italiani sono tra i peggiori dell’Unione Europea: soltanto circa il 30% delle donne è occupata a tempo pieno rispetto alla metà degli uomini. Le donne italiane continuano a guadagnare meno, con un salario medio mensile inferiore del 16%, che sale al 35% tra le laureate. Nonostante per la prima volta nella storia d’Italia una donna sia diventata presidente del Consiglio, la percentuale femminile in Parlamento è scesa del 3% rispetto alla legislatura precedente e soltanto un ministro su quattro è donna. Scrive la rivista online di informazione www.ingenere.it: “La destra di Giorgia Meloni ha già lanciato una serie di messaggi chiari e precisi sul fronte della libertà delle donne e dei diritti civili”, in nome di una certa retorica fondata sul mito
della “vera femminilità”, della “buona madre” e del perbenismo, “sulla difesa di una rinnovata idea di nazione che chiude le frontiere agli altri, chiunque siano”.

Articolo pubblicato nel numero di dicembre 2022 del Giornale di Mani Tese: LINK