L’EUROPA A QUALUNQUE COSTO: LA NOSTRA FOTO ALLA CONFERENZA CO[OPERA]

Si chiama COOPERA[C]TION ed è l’esposizione fotografica curata da Fabio Bucciarelli – realizzata in collaborazione con la Cooperazione Italiana allo Sviluppo – che oggi e domani sarà visibile durante CO[OPERA] la Conferenza Nazionale della Cooperazione allo Sviluppo (Roma, 24-25 gennaio). Fra le ONG rappresentate c’è anche Mani Tese con una foto del fotografo Mirko Cecchi realizzata […]

Si chiama COOPERA[C]TION ed è l’esposizione fotografica curata da Fabio Bucciarelli – realizzata in collaborazione con la Cooperazione Italiana allo Sviluppo – che oggi e domani sarà visibile durante CO[OPERA] la Conferenza Nazionale della Cooperazione allo Sviluppo (Roma, 24-25 gennaio).
Fra le ONG rappresentate c’è anche Mani Tese con una foto del fotografo Mirko Cecchi realizzata in Guinea-Bissau. Si tratta di un’immagine molto significativa perché racconta una storia che vogliamo condividere con voi attraverso le parole del suo stesso protagonista, ritratto nell’immagine: Samba.

Mi chiamo Samba e ho 27 anni. So leggere e scrivere, giusto il minimo indispensabile.
Sono partito nel 2014 per cercare di migliorare le condizioni di vita della mia famiglia e sono tornato in Guinea-Bissau da qualche mese. Ricordo che prima di partire ho speso più di 100mila franchi cfa per avere bottigliette in vetro con alcune cose strane dentro. Con una dovevo bere, con una lavarmi le braccia, con una il viso. Mi avrebbero aiutato ad avere forza e coraggio. Tempo dopo, a Tripoli, ho pagato per un trattamento simile prima di partire in mare. Per arrivare in Libia sono passato per Mali, Burkina Faso e Niger. Non sono riuscito ad arrivare direttamente a Tripoli e sono rimasto un anno e mezzo a Murzuch, dove facevo i tetti delle case con il ferro battuto. Il lavoro iniziava la mattina presto e finiva la sera tardi. Dormivano a terra in una stanza con 20-25 persone di diverse nazionalità, tranne che libici. Una volta arrivato a Tripoli ho pagato 200mila franchi per salire su un barcone per l’Italia. Ci ho provato quattro volte a partire, per tre volte ho pagato e una volta si sono mossi a pietà e mi hanno fatto salire gratis, ma la polizia libica ci ha sempre bloccato. La terza volta ci hanno attaccato con le armi dopo un’ora che eravamo in mare. Sulla barca eravamo 150 persone. Ogni volta che ci fermavano ci portavano nella prigione di Zawia e ogni volta dovevo pagare per uscire. In barca, come in cella, era tutto molto difficile: se non capivi cosa ti dicevano venivi picchiato. In uno dei viaggi, quando stavamo attraccando al porto di Tripoli dopo essere stati bloccati, la polizia ha ucciso due dei miei compagni. Uccidono le persone come galline, senza giustificazioni. I corpi li hanno poi buttati in mare. C’era anche una fossa comune vicino a dove ci facevano imbarcare. Io, però, non avevo paura, c’era solo il pensiero dell’Europa: costi quel che costi, l’obiettivo era arrivare lì. Per questo ci ho provato più volte. Avrei continuato, ma ci hanno obbligato a tornare. L’ultima volta è stata più dura in carcere, ma dopo 40 giorni di cella, nel gennaio 2017, sono stato liberato. Era il giorno della partita Guinea-Bissau – Gabon della Coppa d’Africa. Da Tripoli sono stato portato a Dakar e qui, grazie all’aiuto dell’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), sono riuscito a tornare a Gabu e poi al villaggio, dalla mia famiglia. Dovrei dimenticarmi di partire, con quel poco che ho qua dovrei riuscire a fare qualcosa, ma è davvero dura. Ora, però, partirei solo per via legale, in aereo e con tutti i documenti in regola.”

(Questa storia è comparsa anche sul Giornale di Mani Tese di dicembre 2017 insieme ad altri racconti di migranti).

Guinea Bissau chicos que se embarcaron en un viaje a Europa, pero sin suerte. (Foto di Mirko Cecchi)

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