La Cop21 e le promesse inutili

COP21, DOVEVA ESSERE L’ULTIMA CHIAMATA, SI E’ RIVELATA L’ULTIMA SERIE DI PROMESSE INUTILI di Giosue De Salvo, resp. Advocacy e Campagne di Mani Tese “Ci hanno preso in giro. Parole come ‘Avremo un obiettivo di innalzamento delle temperature di 2 gradi e proveremo a fare un pò meglio ogni cinque anni’, sono senza valore… Non c’è azione, solo promesse. Fino a […]

COP21, DOVEVA ESSERE L’ULTIMA CHIAMATA, SI E’ RIVELATA L’ULTIMA SERIE DI PROMESSE INUTILI

di Giosue De Salvo, resp. Advocacy e Campagne di Mani Tese

“Ci hanno preso in giro. Parole come ‘Avremo un obiettivo di innalzamento delle temperature di 2 gradi e proveremo a fare un pò meglio ogni cinque anni’, sono senza valore… Non c’è azione, solo promesse. Fino a quando i combustibili fossili continueranno ad essere la fonte energetica più economica, continueranno ad essere bruciati”. Così ha commentato l’accordo di Parigi, James Hansen, ex scienziato della NASA, considerato il padre del movimento globale di sensibilizzazione sulle minacce del riscaldamento globale. 

Hansen, 74 anni, aveva partecipato alla 21° Conferenza delle Parti per rinnovare la sua ormai nota proposta di attribuire un prezzo ad ogni tonnellata di carbonio dei maggiori emettitori (“suggerisco il termine ‘commissione’ perché ‘tassa’ farebbe fuggire la gente e un ammontare di 15$/ton che solo negli Stati Uniti genererebbe entrate per 600 miliardi all’anno) ma non è stato evidentemente ascoltato.

Allo stesso modo non è stata ascoltata la voce di migliaia di associazioni, ONG e movimenti sociali che negli ultimi mesi si sono mobilitati prima nelle capitali dei propri Paesi e poi nelle strade e nei quartieri di una Parigi in stato di emergenza, per dire che solo cambiando il sistema si può cambiare il clima. 

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Con questo accordo invece il sistema, e chi lo controlla, non cambiano. Fanno tanto rumore per nulla. I giornalisti abboccano e noi attivisti facciamo la figura di quelli che non si accontentano mai, che non tengono conto delle difficoltà dei negoziatori, dei delicati equilibri delle relazioni internazionali, di Barack Obama ostaggio dei repubblicani al Congresso, ecc. “Bullshit” direbbe James Hansen. 

La verità è che il 2015 doveva essere l’anno della svolta. L’anno dopo il quale nulla più sarebbe stato uguale e il mondo si sarebbe finalmente incanalato in un sentiero glorioso di emancipazione da fame, povertà e riscaldamento globale. E invece ci siamo trovati con una nuova Agenda di Sviluppo, varata lo scorso settembre al Palazzo di Vetro di New York, che rimanda al 2030 la soluzione di tutte le ingiustizie, affidando al mondo del business il compito di trainare la cooperazione tra i popoli, e uno “storico” Accordo sul Clima che: 1) non è vincolante, 2) registra impegni volontari degli Stati che conducono dritti dritti a un innalzamento delle temperature tra i 2,7 e i 3,5 gradi (=disastro), 3) e vede Stati Uniti, Europa e altri Paesi di antica industrializzazione negare la responsabilità di un debito ecologico accumulato negli ultimi 150 anni.

Tutto ciò è inaccettabile ma richiede un esame di coscienza anche a noi di Mani Tese e a tutti coloro, amici, compagni e colleghi, che hanno scelto di trasformare in professione una tensione verso un mondo più giusto. Fino a quando rimbalzeremo come trottole da una conferenza ONU all’altra, da un G8 all’altro, da una COP all’altra, difficilmente faremo la differenza. Finché i nostri coordinamenti, italiani e internazionali, non assumeranno il conflitto sociale (pacifico e non violento) come cifra del nostro lavoro politico, non faremo la differenza. Forse da questo punto di vista, il 2015 potrà essere ricordato come l’anno della svolta. Me lo auguro. Farebbe bene a noi, alle “masse” che cerchiamo di rappresentare e alle istituzioni politiche stesse, quelle sane, che riuscirebbero così a scrollarsi di dosso l’abbraccio mortale del “capitale buono e illuminato”.

foto: Indonesia: The Coal Question by Kemal Jufri