INDAGINE SUGLI IMPATTI DELLA PANDEMIA FRA LE COMUNITÀ DELLA GUINEA-BISSAU

Ridotto da tre a due pasti al giorno il consumo di cibo fra le famiglie. L’indagine di Mani Tese per capire criticità e bisogni generati dalle misure di prevenzione del virus imposte dal governo.

Anche la Guinea-Bissau, come il resto del mondo, è stata colpita dalla pandemia di Covid-19 e, precisamente, ha registrato i primi casi di positività il 25 marzo 2020. Pochi giorni dopo, il 28 marzo, veniva decretato lo stato di emergenza sanitaria e a luglio i casi Covid confermati avevano superato il migliaio.

Non bisogna farsi ingannare dal basso numero assoluto di contagiati, perché la popolazione della Guinea-Bissau è all’incirca quella di una città medio-grande (circa 1,9 milioni di persone) e, ovviamente, il monitoraggio dell’epidemia non può essere così puntuale come nei Paesi europei a causa della mancanza di strutture sanitarie.

In ogni caso, anche qui sono stati presi dei provvedimenti per fermare la diffusione del virus ed è stata nominata commissario per la gestione della pandemia Magda Robalo, in passato già in prima linea nella lotta contro colera, malaria, morbillo ed ebola.

In Guinea-Bissau, le principali misure di prevenzione sono state: l’imposizione del distanziamento sociale, la limitazione degli spostamenti, la chiusura delle frontiere, la riduzione degli orari dei negozi e la sospensione delle “Lumos”, ovvero delle fiere dedicate al commercio.

Mani Tese è attiva in Guinea-Bissau in diversi progetti e regioni del Paese. In particolare nella regione di Cacheu, col progetto “Protezione e soluzioni durevoli per rifugiati e richiedenti asilo in Guinea-Bissau” cofinanziato da UNHCR, fra maggio e giugno 2020 ha deciso di avviare un’indagine, in collaborazione con le comunità locali, per capire quali siano gli effetti delle misure preventive sulla vita delle persone e quali possano essere i bisogni primari in questo periodo di emergenza.

Metodologia dell’indagine

Per mantenere il distanziamento sociale, Mani Tese ha optato per un’indagine tramite sondaggio telefonico da realizzare in 34 villaggi della regione Cacheu che ospitano un totale di 4.957 rifugiati e naturalizzati. In seguito, i villaggi sono diventati 33 a causa di problemi riscontrati nelle comunicazioni telefoniche con il villaggio di Bagui.

Sono state intervistate 3 persone per villaggio per un totale di 99 persone. Il criterio di selezione era 2 donne e 1 uomo e di queste/i 2 dovevano essere rifugiati e 1 cittadino. La privacy dell’intervistato era preservata poiché venivano registrati solo sesso, età e status (cittadino o rifugiato) e non l’identità.

Risultati dell’indagine

I risultati dell’indagine evidenziano un impatto importante delle restrizioni sull’economia delle comunità di intervento (regione di Cacheu). Da una parte, infatti, la sospensione delle fiere agricole ha la conseguenza di frenare il commercio locale; dall’altra parte la chiusura delle frontiere svantaggia i villaggi vicini al confine col Senegal che vivono del commercio trasfrontaliero. L’84,8% degli intervistati ha quindi affermato che la pandemia e le restrizioni governative hanno avuto un forte impatto sulla vendita dei prodotti.

Sempre secondo l’indagine un impatto particolarmente negativo l’hanno avuto le famiglie che vivono grazie alla commercializzazione degli anacardi, che rappresentano il principale prodotto della regione. Il 63,6% di queste famiglie, infatti, è stata costretta a vendere gli anacardi al di sotto del prezzo di mercato. Un altro 32%, invece, conserverà una parte significativa degli anacardi in attesa di prezzi migliori.

Le restrizioni per la prevenzione del Covid hanno quindi un impatto importante sulla situazione economica della maggior parte degli intervistati. La sospensione delle fiere e la chiusura delle frontiere, in particolar mondo, hanno determinato una contrazione del reddito familiare (perdite rispetto all’anno precedente tra il 20% e l’80%), con un impatto diretto e immediato sulle abitudini di consumo, soprattutto legate al cibo. Infatti, se prima della pandemia la maggior parte delle famiglie consumava tre pasti, ad aprile ne venivano consumati solo due nella quasi totalità dei casi.

Dal punto di vista sociale e comunitario, lo stato di emergenza decretato dal governo ha portato a un cambiamento significativo nel modo di vivere in tutte le comunità di intervento, poiché durante questo periodo, le persone hanno smesso di svolgere le attività socioculturali come feste di matrimonio, cerimonie tradizionali e tutto ciò che può far incontrare e riunire le persone. Inoltre, la maggior parte degli intervistati ha dichiarato di rispettare le misure preventive come il frequente lavaggio delle mani, il distanziamento sociale e l’uso delle mascherine.

Conclusioni: quali i bisogni delle comunità?

Agli intervistati è stato infine chiesto: quale aiuto chiederebbe al governo ora? 87 persone hanno risposto aiuti alimentari, in 16 hanno chiesto sementi agricole, e 12 degli intervistati hanno  richiesto un aumento dei materiali per la prevenzione del Covid-19 e di continuare con la sensibilizzazione nelle comunità.

Queste risposte e l’analisi complessiva dell’indagine ci hanno aiutato a capire le principali e prioritarie necessità delle comunità di intervento. Dopo una prima distribuzione di cibo e beni di prima necessità effettuata a maggio, quindi, ne è seguita un’altra nel mese di dicembre per rispondere in maniera ancora più efficace ai bisogni delle comunità.

In totale Mani Tese insieme a UNHCR hanno consegnato: 32.000 kg di sacchi di riso, 1.480 litri di olio vegetale, 1.000 kg di cipolle, 2.360 litri di aceto, 480 secchi per il lavaggio delle mani, 2.268 barre di sapone, 1.560 litri di candeggina e 2.600 mascherine di tessuto.

Qui di seguito alcune foto della consegna dei beni:

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