ILVA: LA PAROLA A STRASBURGO. UN TEST PER TUTTA L’EUROPA

di GIACOMO MARIA CREMONESI, avvocato, cofondatore Human Rights International Corner (HRIC) Gruppi distinti di cittadini di Taranto hanno promosso ricorso contro lo Stato italiano avanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per l’impatto che lo stabilimento dell’ILVA ha avuto e continua ad avere sia sul loro diritto a un ambiente sano, sia sul diritto stesso […]

di GIACOMO MARIA CREMONESI, avvocato, cofondatore Human Rights International Corner (HRIC)

Gruppi distinti di cittadini di Taranto hanno promosso ricorso contro lo Stato italiano avanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per l’impatto che lo stabilimento dell’ILVA ha avuto e continua ad avere sia sul loro diritto a un ambiente sano, sia sul diritto stesso alla vita.

La pronuncia della Corte di Strasburgo inciderà non solo sulla vita dei ricorrenti e della comunità di Taranto, ma soprattutto sul ruolo che lo Stato italiano deve mantenere nei confronti delle violazioni dei diritti umani compiute da imprese che vengono considerate di importanza strategica per la nostra economia.

Lo standard di condotta che il nostro Paese avrebbe dovuto adottare in relazione alla violazione dei diritti umani commessi da un’impresa è espressamente definito dai Principi Guida in Materia di Diritti Umani e Imprese, adottati nel 2011 dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite.

I Principi Guida ONU, che rappresentano la base della materia Diritti Umani e Imprese, individuano tre pilastri fondamentali: il dovere dello stato di proteggere i diritti umani, la responsabilità delle imprese di rispettare i diritti umani e l’accesso alla giustizia per le vittime, in particolare ai rimedi giudiziali.

Il contesto in cui sono stati concepiti e si inseriscono i Principi Guida dell’ONU è stato il processo di globalizzazione economica. In particolare, uno degli obiettivi fondamentali era quello di evitare che potenti imprese multinazionali operassero in modo non responsabile all’interno di Paesi in via di sviluppo, che non sono in grado di imporre il rispetto dei diritti umani a dei colossi da cui dipende il loro benessere economico.

Dieci decreti legislativi

Pertanto, secondo questa prospettiva, sebbene i Principi Guida si rivolgano indistintamente ai Paesi industrializzati e a Paesi in via di sviluppo, i primi dovrebbero soprattutto adoperarsi per limitare gli abusi compiuti dalle proprie multinazionali che producono all’estero e i secondi avrebbero il compito di controllare più efficacemente le attività delle imprese operanti sul proprio territorio. Ovviamente per i Paesi in via di sviluppo questo compito comporta significativi sacrifici in quanto le grandi imprese che investono sul loro territorio rappresentano spesso risorse strategiche per la loro economia e in molti casi si verificano atteggiamenti di complicità più che di controllo.

La vicenda tutta italiana dell’ILVA mescola completamente le carte e ribalta questa prospettiva, mostrandoci con tutta evidenza come anche un Paese altamente industrializzato come il nostro fatichi a garantire il rispetto dei diritti fondamentali nei confronti di una realtà economica di importanza strategica che impiega migliaia di lavoratori.

La peculiarità del caso ILVA risiede infatti nei ben dieci decreti legislativi, tutti convertiti in legge e susseguitisi dal 2012 ad oggi, che hanno consentito la prosecuzione dell’attività dello stabilimento a discapito dell’impatto ambientale dello stesso. Tale prosecuzione è stata autorizzata a livello politico, nonostante la magistratura avesse accertato che lo stabilimento di Taranto aveva, ed ha, un significativo impatto ambientale negativo, con emissioni al di fuori dei parametri di legge, idonee a incidere sul diritto ad un ambiente sano e sul diritto stesso alla vita e alla salute della popolazione.

I provvedimenti legislativi che si sono succeduti hanno avuto l’obiettivo non solo di salvaguardare l’attività di impresa, ritenuta di importanza strategica, e di evitare la relativa perdita di posti di lavoro, ma anche di porre al riparo da responsabilità penali il commissario straordinario che si occupa dell’impianto. Tutto questo, purtroppo, è avvenuto a parziale discapito dell’impatto ambientale che continua ad essere considerato fuori norma e pericoloso per la salute dei lavoratori e della comunità interessata.

La responsabilità legale dello Stato

La condotta dello Stato italiano non è stata in linea con quanto previsto dai Principi Guida dell’ONU. La lentezza dei controlli, la prosecuzione dell’attività disposta dal Governo nonostante il provvedimento della magistratura, nonché la nomina di un commissario straordinario posto al riparo per legge da responsabilità penale si pongono senz’altro in conflitto con il primo e il terzo pilastro dei Principi Guida dell’ONU in materia di Diritti Umani e Imprese.

Infatti, i Principi Guida prevedono espressamente una più stringente responsabilità legale internazionale dello Stato in relazione alla protezione dei diritti umani nel caso in cui un’impresa venga controllata dallo Stato, così come nel caso in cui i suoi atti possano essere in qualche modo attribuiti allo Stato. Non solo, mettere al riparo il commissario straordinario da responsabilità penale e vanificare il blocco dell’attività disposto dalla magistratura ha limitato l’accesso al rimedio giudiziale per le vittime, che dovrebbe invece essere garantito secondo quanto previsto dal terzo pilastro dei Principi Guida.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non è chiamata a interpretare i Principi Guida, ma assicura il rispetto della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). Tuttavia, anche se in modo indiretto, la Corte di Strasburgo valuterà tutti i profili sopra esposti, giudicando se vi sia stata o meno una violazione del diritto alla vita, ad un ambiente sano e ad un mezzo di ricorso effettivo per i ricorrenti.

L’esito del giudizio potrebbe avere una diretta rilevanza non solo per le comunità interessate e per i ricorrenti, ma anche per il futuro stesso delle obbligazioni positive degli Stati europei nei confronti delle imprese che hanno una rilevanza strategica per la loro economia. La sentenza di Strasburgo potrebbe infatti dirci fino a che punto uno Stato parte della CEDU possa spingersi a limitare il diritto ad un ambiente sano e alla salute dei propri cittadini per proteggere il benessere economico della nazione.

Per queste ragioni, oggi più che mai, il caso ILVA riveste una particolare importanza non solo per il nostro Paese, ma per il futuro stesso della materia Diritti Umani e Imprese.

Articolo comparso sul Giornale di Mani Tese di maggio 2017