IL LAVORO ‘“ORCO” CHE DIVORA L’INFANZIA

di Allison Zaghet. Lontani dalle loro case, sottoposti ad abusi e soprusi, impegnati in turni massacranti, ingannati e senza nessuna difesa. I bambini costretti a lavorare, spesso in situazioni ad alto rischio, sono le vittime di una favola dell’orrore. Il riscatto non può che partire dalla scuola e dall’istruzione. “168 milioni di bambini lavoratori e […]

di Allison Zaghet.

Lontani dalle loro case, sottoposti ad abusi e soprusi, impegnati in turni massacranti, ingannati e senza nessuna difesa. I bambini costretti a lavorare, spesso in situazioni ad alto rischio, sono le vittime di una favola dell’orrore. Il riscatto non può che partire dalla scuola e dall’istruzione.

“168 milioni di bambini lavoratori e 200 milioni di adulti disoccupati, e tu cosa stai facendo?” Così twittava Kailash Satyarthi, Premio Nobel per la Pace del 2014, in occasione della Festa del lavoro lo scorso primo maggio. Secondo l’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro), quasi 85 milioni di bambini sono impegnati in lavori pericolosi, ovvero quel tipo di mansioni che minacciano in maniera irreversibile la loro salute e la loro crescita. Un bambino che lavora spesso non va a scuola, non ha possibilità di avere una vita sana e dignitosa in linea con una crescita serena. I bambini costretti al lavoro forzato sono impiegati nella manodopera lontani dalle loro case senza ricevere alcuna o quasi nessuna retribuzione. Sono impiegati in una moltitudine di settori come nei lavori domestici, fabbriche tessili, in ristoranti di grandi dimensioni, nella costruzione di edifici o nello smistamento dei rifiuti e sono spesso soggetti a soprusi e torture, alla violenza verbale, all’abuso fisico e sessuale.

Lo sfruttamento del lavoro minorile è un crimine contro i diritti umani e la sua giurisdizione è regolata principalmente da tre strumenti internazionali: le Convenzioni ILO del 1973 e del 1999 e la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto dell’infanzia. La Convenzione ILO del 1999 impone agli Stati di proibire le diverse pratiche lavorative di schiavitù e asservimento rispetto ai minori dei 18 anni. Anche l’art. 10 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali afferma che: “i fanciulli e gli adolescenti devono essere protetti contro lo sfruttamento economico e sociale e che il loro impiego in lavori pregiudizievoli per la loro salute, vita o tali da nuocere al normale sviluppo devono essere puniti dalla legge.”

In India, dove Mani Tese lavora da decenni, il lavoro minorile è un problema diffuso a causa soprattutto della povertà, della mancanza di istruzione adeguata e dello sfruttamento della vulnerabilità delle popolazioni svantaggiate. Per posizione di vulnerabilità, secondo la direttiva dell’UE, si intende una situazione in cui la persona non ha altra scelta effettiva e accettabile se non cedere all’abuso di cui è vittima. L’aumento del rischio di divenire vittima di schiavitù è in stretta relazione con la situazione di disagio e difficoltà che si dispiega tra le zone più povere del Paese. Molto spesso tali condizioni di miseria possono anche sfociare nella tratta di esseri umani, ovvero il trasporto di persone dalle comunità in cui vivono a un altro Paese o addirittura a un altro stato, con la minaccia o l’uso della violenza, l’inganno e la coercizione. Secondo cifre ufficiali del Governo, elaborate nel 2011, in India ci sarebbero ancora 4,3 milioni di bambini lavoratori. Ma le cifre sembrano ottimistiche in un Paese dove vivono 1,2 miliardi di persone e oltre 400 milioni sono in condizioni di estrema povertà. Per citare alcuni esempi, in India lo sfruttamento del lavoro minorile domestico è un piaga nascosta dietro le mura di case private, perché a causa della crescente ricchezza e stabilità finanziaria della classe superiore e media urbana, i bambini schiavi sono costretti a lavorare tutto il giorno per 365 giorni all’anno dedicandosi alle faccende domestiche come cucinare, pulire, lavare i piatti, svolgere attività di lavanderia, stireria, giardinaggio, agricoltura, assistenza ai più piccoli. Di solito questi bambini provenienti dalle aree povere dell’India rurale sono portati in città e vivono a stretto contatto con la famiglia che servono. Avere una bocca in meno da sfamare e un altro paio di mani che lavorano per le famiglie più disagiate è un motivo apparentemente vantaggioso che induce a “vendere” i propri figli. Ma la mancanza di istruzione e di sviluppo delle competenze diventerà una conseguenza sempre più indelebile per le vite di questi bambini.

Per quanto riguarda la manifattura tessile, l’India è tra le principali forze industriali al mondo. Questo settore dipende in gran parte dalla produzione di esportazione e i punti che rendono il Paese forte nel campo sono sicuramente la notevole e diversificata base di materie prime e la disponibilità di manodopera a basso costo. A collocarsi dall’altra faccia della medaglia è il prezzo della libertà e a rimetterci sono sempre i più poveri: intere famiglie, a causa di debiti contratti in preda alla disperazione, finiscono a lavorare coi propri figli nelle fabbriche tessili. Gran parte di essi sono schiavi bambini, ragazzi e ragazze che lavorano all’interno di ogni singola tappa della filiera, cuciono e ricamano indumenti e scarpe, fabbricano colla, maneggiano vetro fuso e aspirano sostanze pericolose tratte dalle vernice.

Lo scorso aprile, Kailash Satyarthi insieme a Gordon Brown, ex Primo Ministro inglese e attualmente incaricato dalle Nazioni Unite a occuparsi della questione dell’educazione globale, hanno lanciato un appello dal loro blog su Huffington Post UK ai giovani affinché prendano consapevolezza del fenomeno dello sfruttamento dei minori e facciano la differenza. “Abbiamo visto come migliaia di ragazze nepalesi, costrette a vivere per le strade dopo il terremoto del Nepal, sono state trafficatr in India e forse anche vendutr nel Regno Unito. Gravissime violazioni, tra cui lo stupro, sono state raccontate dai bambini in Iraq. Abbiamo sentito in prima persona come ragazze siriane rifugiate di appena 8 e 9 anni siano state costrette a lavorare invece di frequentare le scuole e pochi conoscono la situazione delle ragazze rapite da Boko Haram due anni fa in Nigeria. Un recente rapporto mostra che vi è un aumento scioccante del numero di bambini che sono utilizzati in attacchi suicidi.” La Comunità Internazionale sembra non agire con sufficiente forza contro questo tipo di abusi e le moderne forme di schiavitù prendono il sopravvento ovunque vi sia conflitto e corruzione e laddove vi è discriminazione sistematica e disuguaglianza. E mentre molti Paesi hanno leggi per le diverse forme di schiavitù, pochi detengono piani attuatori credibili ed efficaci, secondo i due esperti. Mentre alcuni Paesi hanno servizi di sicurezza specializzati e migliaia di poliziotti, procuratori e giudici addestrati a rispondere al crimine, pochi sono i Paesi che hanno sviluppato servizi di assistenza alle vittime e piani per la loro riabilitazione.

La schiavitù moderna è un crimine organizzato che richiede volontà e unitarietà di intenti per essere combattuta e Mani Tese chiede una mobilitazione globale così come avvenne in occasione della Global March Against Child Labour dal 1998 al 2004. Abbiamo bisogno di politiche solide sostenute da forti deterrenti legali e sanzioni economiche, se necessario. Abbiamo bisogno che i giovani si mobilitino per i loro diritti civili. Abbiamo bisogno di rafforzare l’importanza dell’istruzione perché mandare i bambini a scuola “è la più grande arma contro il lavoro minorile, il matrimonio precoce e la tratta dei bambini. E dare ai bambini un’istruzione offre loro una grande opportunità per i bambini di imparare che la schiavitù è il male”.

E’ l’educazione universale che segnerà la fine della schiavitù infantile.