IL DIRITTO A UNA VITA SENZA VIOLENZA

Le nostre raccomandazioni per contrastare la violenza di genere in Guinea-Bissau

Nell’ambito del progetto “Abbiamo diritto a una vita senza violenza”, Mani Tese ha avviato in Guinea-Bissau un’attività di advocacy a favore dei diritti delle donne vittime di violenza. L’intervento mira a garantire, promuovere e tutelare i diritti delle donne e delle ragazze nel Paese.

Obiettivo dell’iniziativa, in particolare, è quello di combattere e prevenire la violenza di genere nelle regioni di Quínara, Tombali, Bafatá, Gabu, Cacheu, Oio e SAB, migliorando il sistema di protezione delle vittime e favorendone il reinserimento socioeconomico.

Una delle attività principali promosse da Mani Tese ha riguardato la creazione di un tavolo di dialogo tra le organizzazioni della società civile e le istituzioni coinvolte nella tutela delle vittime della violenza di genere in Guinea-Bissau, con l’obiettivo di generare cambiamenti sostenibili nella lotta alla violenza di genere e a favore dell’uguaglianza tra uomini e donne.

Sono stati realizzati quattro incontri di discussione, svolti tra settembre e novembre 2023, a conclusione dei quali è stato prodotto un documento contenente varie raccomandazioni, volte in particolare a un’applicazione più effettiva della Legge sulla violenza domestica (Legge 4/2016), da presentare nei prossimi mesi alle autorità locali.

Per il contesto politico, sociale e culturale della Guinea-Bissau, la legge sulla violenza domestica, approvata nel 2016, si presenta come uno strumento originale e innovativo, ma la sua applicazione rimane a oggi carente o mancante e condiziona fortemente l’efficacia delle misure legiferate dal governo.

I limiti riscontrati per una concreta applicazione della legge riguardano, in particolare, barriere culturali, legali e geografiche in quanto la violenza di genere in Guinea-Bissau è una realtà radicata negli usi e nelle tradizioni dei gruppi sociali che popolano il Paese, che condividono la cosiddetta cultura Matchundadi (cultura patriarcale).

La violenza di genere viene quindi per lo più normalizzata, tanto che uno degli aspetti più critici riscontrati nella valutazione del contesto locale riguarda l’atteggiamento delle figure professionali che dovrebbero tutelare le vittime di violenza, come operatori della polizia e medici, e che, invece di salvaguardare, chiedono denaro per i servizi di protezione offerti.

Il documento di raccomandazioni si concentra, tra gli altri, proprio su questo aspetto, chiedendo alle autorità locali di investire sulla formazione di queste figure

professionali e di vigilare sulla concreta attuazione del corretto comportamento da parte loro di fronte alle vittime di violenza.

Dal punto di vista delle barriere legali invece, durante gli incontri è emersa la fragilità del sistema giudiziario della Guinea-Bissau, che non garantisce una riuscita applicazione della legge 6/2014, dal momento che gli avvocati hanno sede principalmente nella capitale, ci sono tribunali solo in 5 regioni (Bafatá, Gabu, Buba, Cacheu e Mansoa) e i giudici sono prevalentemente uomini (solo il 26,7% dei giudici sono donne e solo il 5,8% lavora fuori Bissau).

Infine, dal punto di vista geografico, il numero limitato di tribunali e l’accesso ai centri di giustizia, concentrati solo nelle città principali o nelle aree centrali e urbane, disincentivano i cittadini e le cittadine che vivono più lontani dal recarsi negli istituti, tenendo conto che la lentezza e il cattivo funzionamento sono già fattori scoraggianti che portano a pensare che non ne valga la pena.

Oltre al fattore distanza, il cattivo stato delle strade e la mancanza di trasporti, sia nelle zone terrestri che in quelle insulari, costituiscono un problema geografico nell’accesso alla giustizia.

Nonostante queste barriere, l’approvazione della Legge contro la violenza domestica mostra la volontà del Paese di riconoscere l’urgenza di combattere il fenomeno attraverso la prevenzione, la protezione e la creazione di condizioni per l’uguaglianza di genere.

Gli incontri organizzati da Mani Tese hanno condotto a preziose raccomandazioni, che riguardano soprattutto l’appropriazione e l’applicazione degli strumenti avviati. In particolare, viene invitato lo Stato a pubblicizzare il contenuto della Legge 6/2014 e a creare meccanismi per controllarne l’effettiva applicazione.

È inoltre importante che venga data una definizione più ampia di violenza, che tenga conto anche del contesto non domestico, che la vittima sia trattata in tutte le fasi dell’assistenza nel massimo rispetto della sua persona e che ci sia un intervento proattivo da parte del settore della giustizia e dei centri sanitari come centri di primo soccorso per le vittime di violenza.

Gli operatori dei settori della sicurezza, della giustizia e della sanità devono sviluppare un approccio psicosociale più sensibile nel trattamento delle vittime della violenza di genere.

Lo Stato è invitato a intervenire nella prevenzione, a sensibilizzare e rassicurare le vittime affinché denuncino e sensibilizzino l’opinione pubblica ad abbandonare le pratiche violente e a denuciare anche in forma anonima qualsiasi violenza domestica

di cui è a conoscenza, in base all’articolo tre, in cui la violenza domestica è definita come reato pubblico.

A questo proposito è emersa la necessità di fare chiarezza tra l’art.3 (la violenza domestica è reato pubblico, pertanto chiunque sia a conoscenza di un caso di violenza domestica è invitato a sporgere denuncia) e l’art. 7 (principio di autonomia della vittima, per cui se la vittima non desidera sporgere denuncia o non desidera proseguire il processo, la sua decisione deve essere rispettata). È importante, infatti, che lo Stato riconosca che il ritiro spesso deriva dall’ignoranza dei diritti o dalla pressione sociale subita dalla vittima e dalla sua famiglia e che di conseguenza, in caso di recesso, è necessario proseguire l’iter per accertarne le ragioni.

Attraverso il documento di raccomandazione si chiede, infine, una più concreta ed effettiva azione contro gli autori di violenza e il sostegno ad azioni volte a proteggere le vittime in tutto il Paese, creando centri di accoglienza e risolvendo ostacoli burocratici e geografici per rendere giustizia alle tante donne che nel Paese subiscono e hanno subito violenza.