DOPO LA VIOLENZA: L’ACCOGLIENZA DELLE DONNE IN GUINEA-BISSAU

Famiglie ospitanti e spazi di accoglienza: una rete informale di sostegno a chi ha il coraggio di denunciare episodi di violenza o di matrimoni forzati.

Di Paola Toncich, Rappresentante Paese in Guinea-Bissau, Mani Tese

 

Per “spazi informali di accoglienza” in Guinea-Bissau, Paese con un’alta incidenza di matrimoni forzati, si intendono persone e famiglie volontarie che accolgono nelle loro case ragazze e donne vittime di violenza sia nella capitale, Bissau, sia nelle regioni più isolate, dove non esistono centri di accoglienza formali. Questa definizione è stata adottata nell’ambito del progetto di Mani Tese e co-finanziato dall’Unione Europea e promosso insieme ad altri partner Libere dalla violenza: Emancipazione per donne e bambine in Guinea-Bissau (titolo originale: “No na cuida de no vida, mindjer“che in italiano significa “Ci prendiamo cura della nostra vita, donna”).

Per introdurre un nuovo approccio nella mobilitazione contro la violenza di genere, Mani Tese si sta occupando dell’identificazione e della mappatura di questi spazi, nonché del rafforzamento delle loro capacità materiali attraverso la consegna alle famiglie ospitanti di alcuni kit di appoggio alle vittime (che contengono generi alimentari, capi di abbigliamento, materiale scolastico e medicine) e sessioni formative sull’assistenza sociale di base e sugli strumenti legali contro la violenza domestica vigenti nel Paese.

 

Attualmente sono già stati identificati 12 spazi informali nelle regioni di Bafata, Gabu, Quinara e Tombali e nella città di Bissau, di cui 9 hanno ospitato o ospitano vittime di abusi e soprattutto vittime di tentativo di matrimonio precoce o forzato. Chi non ha ancora ospitato si rende disponibile per un anno, in attesa delle ragazze e delle donne che potrebbero aver bisogno di essere accolte.

Attualmente le vittime alloggiate sono 25 di cui 21 per matrimonio forzato e precoce e 4 per violenza domestica.

Le persone che ricevono una vittima sono per la maggior parte attiviste per i diritti umani, operatori del settore (poliziotti, assistenti sociali) o appartenenti ad alcuni credi religiosi (pastori evangelici). Ma ci sono anche persone che spontaneamente si offrono di accoglierla.

Dopo la denuncia alle autorità, le vittime di violenza sono accompagnate dalla polizia e dall’equipe di progetto nelle “strutture ospitanti”, che vengono supervisionate sia per quanto riguarda le loro esigenze che il corretto rapporto con le vittime.

Il progetto di Mani Tese dispone inoltre di un’assistente sociale che fornisce supporto psicosociale alle vittime ospitate dalle famiglie e che si occupa di accompagnarle attraverso colloqui e sessioni di assistenza per superare i traumi causati dalla violenza.

Nel caso di matrimonio forzato, il responsabile giuridico di Mani Tese identifica inoltre, insieme alla polizia, i famigliari della vittima per comprendere le ragioni dell’atto, per sensibilizzarli e tentare di conciliare le posizioni. Nel caso la famiglia d’origine non sia disposta a riaccogliere la ragazza, l’equipe identifica dei parenti prossimi non consenzienti al matrimonio che possano ospitarla.

Anche nel caso in cui la vittima abbia subito abusi o violenza domestica, dopo la denuncia (che non sempre porta a processo a causa dell’inadempimento della giustizia) e l’accoglienza temporanea negli spazi informali, lo staff di progetto cerca la soluzione migliore per reinserire la ragazza o la donna in società. La difficoltà del reinserimento dipende dal fatto che difficilmente la vittima accetta di uscire dalla propria comunità per ricominciare una vita altrove. Nella fase di reintegrazione, la cui durata dipende dalla gravità della violenza subita, le famiglie e le ragazze vengono seguite attraverso visite domiciliari e contatti telefonici.

Nei prossimi mesi verrà istituita una rete con lo scopo di mettere in contatto fra loro le famiglie ospitanti nelle regioni d’intervento. Una rete che crei interscambio, condivisione delle esperienze e delle necessità delle famiglie per garantire protezione a chi trova il coraggio di fuggire dalla violenza.