Burkina Faso: agroecologia, un’economia di speranza

Mentre il Paese attraversa una grave crisi umanitaria, Mani Tese opera con due progetti entrambi improntati alla costruzione di filiere corte e produzioni locali per garantire uno sviluppo agroalimentare di lungo periodo.

MENTRE IL PAESE ATTRAVERSA UNA GRAVE CRISI UMANITARIA, MANI TESE OPERA CON DUE PROGETTI ENTRAMBI IMPRONTATI ALLA COSTRUZIONE DI FILIERE CORTE E PRODUZIONI LOCALI PER GARANTIRE UNO SVILUPPO AGROALIMENTARE DI LUNGO PERIODO.

Il Burkina Faso è uno dei Paesi più poveri del mondo, la sua economia si basa principalmente sull’agricoltura che dà lavoro al 90% della popolazione, in prevalenza rurale. In questo momento il Burkina Faso sta vivendo una grave crisi dovuta all’espandersi di attacchi terroristici condotti da gruppi legati ad al-Qaeda e allo Stato Islamico che stanno cercando di consolidare le loro posizioni nelle zone nord ed est del Paese. L’UNHCR ritiene che dall’inizio della crisi mezzo milione di persone siano state costrette a la- sciare le proprie abitazioni e attualmente è in corso una crisi umanitaria che colpisce 1,5 milioni di abitanti. Mani Tese crede che al doveroso intervento di emergenza per assistere le persone direttamente colpite dalla crisi debba affiancarsi la collaborazione con le comunità locali, ove possibile, per portare avanti programmi di lungo periodo come è il caso dei progetti di promozione e sviluppo dell’agroecologia.

Produciamo Burkinabé, consumiamo Burkinabé

Nella “terra degli uomini integri” (è questo il significato di Burkina Faso in lingua locale), l’agroecologia è stata introdotta fin dai primi anni ‘80 grazie all’attività di Pierre Rabhi, agricoltore, scrittore e pensatore francese di origine algerina, considerato uno dei pionieri dell’agroecologia a livello mondiale, attivo nel Paese africano tra il 1985 e il 1988. Proprio in quegli anni il Burkina Faso stava vivendo la cosiddetta “rivoluzione sankarista” condotta dall’allora visionario Presidente Thomas Sankara, che promuoveva l’indipendenza del paese dal neocolonialismo economico con il motto “produciamo Burkinabé, consumiamo Burkinabé”. Rabhi e Sankara si incontrarono nel 1987: Sankara propose all’agricoltore francese di riscrivere la politica agricola del Burkina Faso. Un progetto rimasto sulla carta. Sankara, infatti, venne assassinato e il Paese africano “normalizzato”. Per quelle politiche agricole significò l’adesione all’agricoltura convenzionale, tesa a massimizzare la produttività dei suoli con l’utilizzo massiccio di fertilizzanti chimici, sementi ibride e in seguito l’introduzione di sementi OGM. Negli anni sono diverse le esperienze che si sono sviluppate di resistenza a questo modello e sempre più organizzazioni locali, sostenute e accompagnate da ONG internazionali, stanno promuovendo, seppur su piccola scala, l’agroecologia. Rabhi e Sankara sono i riferimenti di questo movimento di cui fa parte anche Mani Tese.

I progetti di Mani Tese

Sono due i progetti oggi in corso che, con modalità diverse, richiamano alcuni principi dell’agroecologia. Il primo dal titolo Filiere corte e cibo sano per tutti in Burkina Faso, cofinanziato dalla Regione Veneto e dalla Fondazione Maria Enrica si svolge in nove villaggi nel Comune di Loumbilà, poco distante dalla capitale Ouagadougou. Dal 2014 Mani Tese ha avviato, grazie al contributo di Fondazioni for Africa Burkina Faso, un programma nella zona con il duplice obiettivo di accompagnare i contadini a organizzarsi in Unione prima e cooperativa poi e a migliorare la produzione, in particolare orticola, in linea con i principi dell’agroecologia. L’approccio utilizzato segue le seguenti tappe: 1. Sensibilizzazione della popolazione e dei contadini sui danni dell’agricoltura convenzionale e dell’utilizzo indiscriminato di fertilizzanti chimici sia per quel che riguarda il degrado dei suoli sia per i problemi di salute che ne conseguono; 2. Promozione di forme di produzione alternative attraverso la formazione degli agricoltori sulle tecniche che fanno riferimento ai principi dell’agroecologia. In particolare è stata creata una fattoria dimostrativa gestita dall’Unione di produttori orticoli Nanglobzanga e sono stati sostenuti inizialmente 35 produttori per la conversione agroecologica dei loro terreni; 3. Favorire modalità per valorizzare le produzioni agroecologiche attraverso l’organizzazione di campagne per la valorizzazione del cibo sano e locale, fiere e mercati settimanali che oltre a sensibilizzare sui temi già citati danno l’opportunità ai produttori di vendere direttamente al consumatore; 4. Lavorare in rete promuovendo eventi e scambi tra produttori, è il caso per esempio della collaborazione con l’associazione CNABio (Consiglio nazionale dell’agricoltura biologica in Burkina Faso); 5. Influire sui decisori politici a partire dal basso, ovvero dai sindaci dei comuni dove si opera per fare in modo che l’agroecologia non resti l’esperienza di pochi ma possa essere introdotta nella strategia nazionale di politica agricola. Un primo positivo risultato è il fatto che il sindaco di Loumbilà abbia inserito l’agroecologia nel piano comunale di sviluppo. Il secondo progetto in corso, con il cofinanziamento dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) e sempre la Fondazione Maria Enrica, si svolge invece nelle province rurali del Boulgou e del Boulkiemdé, oltre che nella capitale, e ha come titolo Imprese sociali innovative e  partecipazione  dei  migranti per l’inclusione sociale in Burkina Faso.

Il progetto si pone l’obiettivo di contribuire allo sviluppo di attività produttive, imprenditoriali e innovative, nell’ambito delle produzioni agroalimentari per ridurre marginalità sociale ed economica e per valorizzare le produzioni locali. Sono, quindi, in corso una serie di azioni finalizzate a sostenere 20 organizzazioni collettive che si occupano prevalentemente di trasformazione di prodotti alimentari burkinabé (dal cous cous di mais ai biscotti di niebé, fino al soumbala e alle arachidi tostate), per migliorare le loro modalità di produzione e creare contatti con potenziali consumatori soprattutto a Ouagadougou. Alcune di queste organizzazioni sono anche sostenute da associazioni della diaspora del Burkina Faso in Italia con le quali lavora il partner di progetto CeSPI. Per la commercializzazione dei prodotti invece l’attività è gestita insieme all’Ong ACRA, che ha costituito Ké de burkinabé un’impresa sociale basata a Ouagadougou allo scopo di supportare i piccoli produttori nel migliorare la qualità dei propri prodotti e il loro confezionamento e infine sviluppare canali di vendita. Con Chico Mendes invece si sta realizzando una campagna di sensibilizzazione dei consumatori Burkinabé rispetto al consumo sano e locale. Il progetto ha infine una componente istituzionale, sempre seguita in collaborazione con ACRA e il comune di Milano, che ha portato il comune di Ouagadougou a sottoscrivere il Milan Urban Food Policy Pact che impegna i sindaci che lo sottoscrivono a lavorare per rendere sostenibili i sistemi alimentari, garantire cibo sano e accessibile a tutti, preservare la biodiversità, lottare contro lo spreco.