Donne, Tessile e Mondo: la violenza nascosta dietro la filiera globale
Nella Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, un approfondimento sulle dinamiche di un’industria che prospera sulla vulnerabilità femminile
di Elisa Lenhard
India, Bangalore
CASO 1
«Quindi non vuoi nemmeno dirmi dove abiti? Neanche per offrirti un bicchiere d’acqua, se un giorno dovessi passare da quelle parti?».
Con questa frase, apparentemente innocua ma in realtà profondamente invasiva, un responsabile di un’azienda ha iniziato a pressare una lavoratrice, dopo averle già rivolto domande personali sulla sua vita sentimentale. Nei giorni successivi, quell’insistenza è diventata sempre più opprimente: l’uomo continuava a chiederle l’indirizzo di casa, sostenendo di vivere nelle vicinanze e presentando la richiesta come un gesto “da amico”. La donna finisce per cedere e gli comunica l’indirizzo. Quella stessa sera, il responsabile si presenta alla sua porta. Entra nell’abitazione e, nonostante le sue proteste, abusa di lei. Il giorno dopo si comporta come se nulla fosse accaduto, trasformando immediatamente la violenza in un ricatto silenzioso per evitare denunce da parte della donna. La lavoratrice non procederà per via legali, non crede di poter ottenere giustizia: nella sua fabbrica, le donne che in passato hanno provato a denunciare molestie o violenze sono state umiliate, isolate, licenziate o costrette alle dimissioni. “È un sistema che protegge i responsabili e punisce le vittime, lasciandole senza tutela e senza voce” – afferma la donna.
CASO 2
Dopo aver subito molestie verbali sul luogo di lavoro da parte del suo responsabile, una lavoratrice decide di rivolgersi alla commissione interna. Viene convocata per l’audizione, dove le viene comunicato che dovrà presentare prove dell’accaduto, in caso contrario, la sua segnalazione verrà considerata una falsa denuncia. La donna spiega che gli episodi (ricordiamo, verbali) sono avvenuti a distanza molto ravvicinata e in condizioni che rendevano impossibile raccogliere qualsiasi testimonianza, poiché nessun altro poteva sentire. La donna chiede alla commissione che il responsabile venga trasferito ma, non essendo in grado di fornire prove ritenute “concrete”, la commissione archivia il caso. Le molestie, però, non cessano. Diventano più insistenti. L’aggressore la provoca regolarmente, cercando una reazione. Nel frattempo, la direzione della fabbrica interviene non per tutelarla, bensì per sanzionarla, emettendo diversi provvedimenti disciplinari nei suoi confronti.
“Casi come questi se ne contano a bizzeffe nelle fabbriche del settore tessile di Bangalore”, sostiene Ganga Shekar, Executive Trustee dell’ONG Fedina, una delle organizzazioni partner con cui Mani Tese collabora in India a sostegno della difesa dei diritti umani e ambientali. “Il contesto di sindacalizzazione dei lavoratori dell’abbigliamento è quello di una forza lavoro a maggioranza femminile, in cui le molestie sessuali sono diffuse e normalizzate, con un personale di supervisione e gestione quasi sempre composto esclusivamente da uomini”.
Queste informazioni emergono anche dall’analisi delle prime attività sostenute dalla campagna Stop Sexual Harassment of Garment Workers promossa dai sindacati indipendenti del settore dell’abbigliamento, un percorso di empowerment e mobilitazione collettiva (petizioni, azioni pubbliche e la creazione di un fondo di solidarietà) che intende raggiungere direttamente 1.000 donne e, indirettamente, oltre 100.000 lavoratrici, spesso provenienti da contesti estremamente vulnerabili ed economicamente fragili, costrette a lavorare in una dimensione di paura, ricatti e totale mancanza di tutele. La campagna promuove spazi di dialogo tra pari, supporta casi legali, denuncia i casi di molestie e violenza e attiva una rete di studenti, sindacati e organizzazioni per contrastare la cultura dell’impunità nelle fabbriche e cambiare le dinamiche profonde di un’industria che prospera sulla vulnerabilità femminile.
Bangalore è la capitale dello stato meridionale del Karnataka e cuore pulsante dell’industria tecnologica del Paese, uno dei principali hub di produzione del tessile in India. Nel 2025 conta un’area metropolitana di oltre 14,3 milioni di abitanti, di cui 6,83 milioni sono donne, ed è proprio la condizione femminile in ambito occupazionale – in particolare nel settore tessile – a costituire una delle componenti strategiche del programma d’azione sviluppato congiuntamente nel Paese da Fedina e Mani Tese. Attraverso interventi di sensibilizzazione sul campo e percorsi mirati al rafforzamento delle soft skills, nonché al supporto psicologico e legale, il programma promuove la consapevolezza necessaria affinché le donne possano affrontare efficacemente situazioni complesse come quelle precedentemente descritte. Mani Tese da sempre si dedica a questa tematica, ascoltando esigenze e bisogni, e mettendo in luce le fragilità di una filiera estremamente complessa, spesso di difficile ricostruzione, dominata da logiche di business fortemente orientate al profitto e dagli impatti sociali e ambientali profondamente dannosi, dove a subirne maggiormente i danni sono proprio i lavoratori e le lavoratrici che stanno nei livelli più a valle dell’intero processo produttivo. “In questa giornata, che rinnova il nostro impegno a tutela delle donne, vogliamo porre l’accento sul nesso cruciale tra donne, lavoro e settore tessile. Le recenti vicende che hanno interessato l’Europa sul piano politico, spingendo avanti modelli di impresa che troppo spesso ignorano i diritti delle persone e dell’ambiente, rendono ancora più urgente riaprire questa riflessione. Per Mani Tese si tratta di un tema cruciale, radicato nella nostra storia e nel nostro impegno di giustizia” aggiunge Giuseppe Stanganello – Presidente di Mani Tese ETS.
Le profonde criticità della catena del valore del settore tessile, caratterizzata da una ben nota opacità che si traduce in scarsa trasparenza e difficoltà nel rintracciare fornitori e subappaltatori, come indicato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro, nel mondo vi sono oltre 60 milioni di lavoratori e lavoratrici nel comparto tessile e, considerando l’intera catena del valore (progettazione, distribuzione e vendita al dettaglio), si stimano più di 300 milioni di persone a livello globale. I dati provenienti da Bangalore, città che si presenta come simbolo della modernizzazione, stimano che nel 2025, le lavoratrici del settore tessile, che rappresentano circa l’85% della forza lavoro dell’abbigliamento, guadagnano in media 12.223 rupie al mese, poco più di 118 euro.
“In India, migliaia di donne nel settore dell’abbigliamento lavorano per poco più di 11.000 rupie al mese – meno di 120 euro – mentre affrontano obiettivi impossibili, straordinari non retribuiti, pause negate e condizioni che compromettono salute fisica e mentale. Molte sono migranti, spinte dalla povertà, e vengono scelte solo finché giovani, per poi essere gradualmente escluse. Anche il trasporto, un tempo gratuito, ora viene detratto dai loro già miseri salari. Questa non è solo precarietà: è un sistema che prospera sulla vulnerabilità delle donne”, ci dice ancora Bipinkumar Rameshkumar Gajbhiye – Coordinatore di Fedina.
Proseguendo la nostra chiacchierata, appare chiaro che casi di molestie, violenze e repressione dei diritti sindacali riportati nelle fabbriche tessili di Bangalore mettono in luce le gravi lacune nella tutela delle lavoratrici, soprattutto tra le migliaia di giovani migranti provenienti dagli stati del Nord India, che alimentano una filiera globale ancora troppo nebulosa, smentendo l’immagine che deriva dalla visione dei siti web di grandi imprese brand internazionali a monte dell’intero processo produttivo, che dichiarano di adottare modelli di governance responsabili e politiche di sostenibilità orientate alla tutela dei lavoratori e alla riduzione dell’impatto ambientale. Tuttavia, analisi indipendenti mostrano un divario profondo tra questi impegni e le condizioni effettive nelle fabbriche: persistono bassi salari, scarsa trasparenza e pratiche di acquisto che spesso limitano la capacità dei programmi aziendali di produrre miglioramenti reali. Il Fashion Transparency Index di Fashion Revolution lo evidenzia con chiarezza: il 99% dei grandi marchi non dichiara quanti lavoratori lungo la propria catena di fornitura percepiscano un salario dignitoso, e il 96% non presenta neppure una roadmap per raggiungere questo obiettivo. Un dato che, più di ogni comunicato, mostra quanto la retorica della responsabilità sociale resti ancora lontana dalla realtà vissuta dalle lavoratrici che rendono possibile questa industria globale.
Lo scorso 13 Novembre il Parlamento europeo ha adottato la propria posizione sull’Omnibus I, una proposta di deregolamentazione che mira a indebolire in modo significativo le principali leggi europee in materia di sostenibilità recentemente approvate, tra cui la Direttiva sulla Due Diligence di Sostenibilità Aziendale (CSDDD)., approvata il 24 maggio 2024, attraverso un iter legislativo lungo e complesso che ha interessato Consiglio e Parlamento Europei e che, riflettendo i tre pilastri principali degli UNGPs, che stabiliscono le linee guida per garantire la protezione dei diritti umani nel contesto delle attività economiche e aziendali, lanciava un importante segnale di cambiamento del sistema economico globale, imponendo l’obbligo alle imprese di agire nel rispetto dei diritti delle persone e dell’ambiente lungo tutte loro attività globali. Tra gli aspetti più significativi introdotti dalla Direttiva, la possibilità, per le vittime di abusi legati alle pratiche aziendali, di avviare azioni legali contro le imprese responsabili e rivolgersi ai tribunali nazionali degli Stati membri, ottenendo così un reale accesso alla giustizia e la possibilità di essere risarcite per i danni subiti lungo le catene di attività. Ma questa opportunità di cambiamento è stata di fatto smantellata, sotto il pretesto della “semplificazione”, dalla scelta del Parlamento Europeo di cedere alle pressioni degli interessi aziendali. Il processo avviato rappresenta una grave battuta d’arresto per gli impegni sociali e ambientali dell’Europa e rivela quanto profondamente l’influenza delle lobby economiche e di alcune forze politiche estreme possa erodere principi essenziali di trasparenza e responsabilità. A pagarne il prezzo saranno ancora una volta le vittime degli abusi, i lavoratori e le lavoratrici, il pianeta.
Casi come quelli raccolti durante la realizzazione delle attività della Campagna “Stop Sexual Harassment of Garment Workers” saranno sempre di più e prive di ogni tipo di tutela, ed è per questo che diventa simbolo di una volontà d’azione condivisa, volta a costruire solidarietà tra donne, rompere il silenzio imposto dalla paura e dalla vergogna, e responsabilizzare le lavoratrici affinché i responsabili di molestie e abusi non restino impuniti. Solo attraverso un lavoro costante tanto sul campo e di pressione sulle istituzioni affinché vengano adottate e applicate normative di tutela concrete ed efficaci, sarà possibile trasformare una filiera industriale che troppo a lungo ha prosperato sulla vulnerabilità femminile in un luogo sicuro, rispettoso e dignitoso per tutte le donne. Mani Tese continuerà a sostenere questo percorso, perché la lotta contro la violenza e le disuguaglianze non può conoscere pause.