Attualmente circa ¾ della produzione mondiale di cacao si effettua in Paesi africani, con un totale di circa 20 milioni di persone dedite alla coltivazione del cacao. Purtroppo però gli agricoltori locali non ne hanno tratto molti giovamenti.
Fu negli anni 70 del secolo scorso che la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale per il Commercio spinsero gli Stati produttori a privatizzare le imprese pubbliche che gestivano la commercializzazione del cacao, aggravando ulteriormente la situazione dei coltivatori, fino a favorire lo sfruttamento del lavoro minorile.
Un altro dei drammi connessi con la coltivazione del cacao è la deforestazione. Le foreste pluviali infatti sono state disboscate per dedicare il territorio alla coltivazione del cacao e dopo quaranta o cinquant’anni i terreni, ormai esauriti, sono stati abbandonati per disboscare nuovi territori. E così alcuni milioni di ettari di foresta (un ettaro è pari a circa due campi di calcio) sono scomparsi in Costa d’Avorio e Ghana.
Le speranze per il futuro? Non sono moltissime, ma le nazioni dell’Unione Africana con la Dichiarazione di Malabo (2014) si sono impegnate ad allocare il 10% della spesa pubblica all’agricoltura ed allo sviluppo rurale. In effetti la crescita agricola trainata dalle colture alimentari riduce la povertà più efficacemente rispetto a quella trainata dalle colture destinate all’esportazione.
E poi ci sono i numerosi progetti di Mani Tese orientati sia alla produzione di colture alimentari, che come abbiamo visto facilitano la crescita dell’economia rurale, sia alla coltivazione di cacao su grandi estensioni, massimizzando così i profitti, e con l’impiego dell’agroecologia, che ne incrementa le rese nel lungo periodo proteggendo nel contempo l’ambiente.