09/12/2020

di Fabrizio Boldrini, Direttore della Fondazione Hallgarten-Franchetti Centro Studi Villa Montesca

Il rapporto tra spazio e apprendimento è un tema sempre più attuale. La scuola in tempi pandemici si chiude, si restringe, si pervade di assiomi difensivi. E, per una logica ragione che obbedisce alle paure dell’emergenza, si percorre a ritroso una via concettuale che ha portato il dibattito proprio a mettere in seria discussione il tema dello stare insieme ponendo l’attenzione sulla circolarità del sapere, rappresentata in un logo educativo anche dall’approccio alla dimensione spaziale. Si è arrivati dunque al “banco singolo” come elemento salvifico e protettivo. Ma se tornassimo indietro in una scuola degli anni Cinquanta, vedremmo un’immagine che pensavamo di avere riposto per sempre nei libri di storia della educazione, ma che oggi è invece ancora attualità.

Scuola ieri e oggi

Maria Montessori avrebbe difficoltà a riconoscere questo salto en arriére e la sottovalutazione di un criterio che portava la pedagogista di Chiaravalle a definire “maestro” l’ambiente, proprio a sottolineare il ruolo necessario e importantissimo del luogo, dello spazio, e dell’esserci, in un processo, complicato ed emozionante, come è quello di diventare adulti.

L’ambiente maestro che garantisce continuità educativa

Questo breve testo vuole testimoniare un lavoro, che appena avviato nella Comunità educante di Città di Castello, ha vissuto i grigi giorni della pandemia e ha dovuto ripiegare le vele, ma che intende non perdere la forza di una rielaborazione concettuale, che prima o poi potrà nuovamente prendere vigore. Anche grazie al progetto “Piccoli che Valgono!” proposto da un partenariato nazionale guidato da Mani Tese, svilupperà il tema della scuola anche nella comunità, andando a estendere lo spazio-maestro ad altre dimensioni anche fisiche che non sono giuridicamente scuola, ma che sono “educazione”.

Il progetto sta realizzando un censimento di luoghi adatti o adattabili per le attività educative, con lo scopo di includerli nella rete esistente di Comunità educante, che a Città di Castello e nel territorio della Valle del Tevere si è costituita in protocollo formale di intesa, circa dieci anni fa, prendendo avvio da un progetto di rafforzamento delle competenze prosociali volto alla prevenzione della violenza tra pari attraverso relazioni più empatiche. Si è pensato di agire sulla consapevolezza di dinamiche quali l’esclusione, l’isolamento e la discriminazione inconsapevole, che conduce gruppi di bambini e bambine a tenere comportamenti selettivi nei confronti di loro compagni/e. Nelle declinazioni classiche, quelle proposte da Olweius tanto per capirci, questi fenomeni sono raramente indicati come manifestazioni di bullismo, ma il loro effetto, ormai lo conferma molta letteratura, risulta assai rilevante e lascia tracce indelebili nel costrutto cognitivo e nelle aspirazioni dei bambini e delle bambine. La scuola aveva (e continua ad avere) un problema: si chiama continuità educativa.

Possiamo inventare tutte le alchimie che vogliamo, ma quando lo sforzo educativo si ferma alla porta della scuola e non continua, nello spazio fisico e non, nelle altre agenzie educative (sport, religione, cultura) e quando anzi viene smentita la direzione pedagogica che è stata impressa, tutto rischia di essere inutile. Allora, ci suggerisce sempre la Montessori, occorre fare “l’ambiente maestro”. Non solo quello della scuola, ma anche quello della comunità. La prima idea della Comunità educante del territorio dell’Altotevere è stata pertanto quella di mettere insieme tutte le organizzazioni che, pur non avendone a volte piena consapevolezza, fanno parte dell’”informale educativo”, con un ruolo tutt’altro che secondario. Un censimento degli spazi è la fase in corso. Capire quello che la città ha da offrire e come riempire l’offerta educativa in una dinamica di continuità è senza dubbio un lavoro utilissimo che porta a scoperte molto significative.

La metodologia è semplice, intuitiva e non dispendiosa: guardare alla città e ai luoghi dove si attivano percorsi di educazione anche non formale con un occhio diverso, portando anche altri soggetti della Comunità a ragionare con la stessa ottica e con lo stesso fine, aumentando la consapevolezza comune.

Per fare questo però, come è anche avvenuto nella ri-progettazione della scuola del quartiere San Pio X di Città di Castello, occorre che per primo lo spazio educativo si possa reinterpretare per esercitare una “funzione guida”. Come sappiamo, non sempre è semplice condurre un dialogo fra istituzioni che contempli gli aspetti normativi, di sicurezza e di costing con le aspirazioni reali degli educatori. La scuola stessa ancora propone a volte una propria rappresentazione dello spazio più influenzata dal modello rigido della scuola-officina che dall’idea montessoriana di gradevolezza dell’ambiente. Anche se, grazie a Malaguzzi e a Reggio children, questa dimensione ha visto una evoluzione in positivo nella percezione della scuola primaria e dell’infanzia, mentre rimane ben presente nella scuola secondaria.

Non basta uno spazio gradevole, occorre la cooperazione di tutta la comunità educante

I progetti della Comunità educante sono ispirati anche alla prospettiva lanciata nel Regno Unito, e solo in parte con esiti positivi, relativa al programma Building Schools for the Future lanciato nel 2004 che aveva una idea diversa di scuola percepita come nuovo centro della comunità, anche con l’intento secondario di riqualificare aree emarginate o depresse.

L’idea era quella di “modernizzare” le scuole attraverso un vero cambiamento di prospettiva dei modelli educativi integrati con infrastrutture e dotazioni tecnologiche per supportare le nuove modalità di apprendimento e i nuovi stili cognitivi degli studenti. Questo modello basato su un approccio architettonico ha da subito mostrato i suoi limiti, che la pedagogia soprattutto italiana aveva già messo in evidenza. Il progetto di Comunità educante dei luoghi cerca di riflettere sul tema dell’educazione che non può essere risolto su un piano di mero design urbano e della riconversione di edifici non più funzionali.

La cooperazione fra vari soggetti della società civile, sportiva e religiosa delle città della Valle del Tevere è alla base dell’azione, che produrrà a breve una reale visione dei luoghi che possono diventare educativi, anche grazie a interventi sulla struttura e sull’arredo.

Il progetto aspira a tenere ferma la visione montessoriana dell’“ambiente semplice”. Significa che prima di lanciare complicate elaborazioni, le scuole possono riflettere sull’esistente e fare economia di comunità, magari attivando risorse professionali presenti (la più semplice: i genitori e quello che possono fare) e disponibili. Spostare e ripensare lo spazio, come dimostra l’aula montessoriana STEM attivata nella scuola media Alighieri Pascoli di Città di Castello, è spesso il risultato di un’ingegneria cognitiva, che si attiva quando è possibile guardare allo spazio-scuola con uno sguardo più aperto.

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