24/07/2018
Manda il 5×1000 a quel Paese”: è questo il claim della campagna di Mani Tese per il 5X1000. Quattro soggetti di poster, un video promozionale e 6 mini documentari sono gli strumenti con cui l’Ong sta promuovendo la campagna. Il concept, volutamente provocatorio, ricontestualizza insulti e altre espressioni tipiche dello slang e del discorso mediatico italiano per restituirgli un significato positivo nel contesto del Paese, il Kenya, in cui i soggetti sono ambientati.
Ogni poster della campagna raffigura un protagonista dei brevi documentari ed è accompagnato da un claim ironico. Le storie riguardano la comunità indigena degli Ogiek, la cui sopravvivenza è strettamente legata alla Foresta Mau, un patrimonio ambientale in pericolo che Mani Tese è impegnata a tutelare; Salomè e i risultati dell’uso del forno migliorato; Njoroge e l’attività di allevamento dei maiali; Dorothy e l’empowerment femminile; Irene e il suo impegno educativo; il maestro Jeremiah con la sua classe di agricoltura sostenibile.
La campagna è stata realizzata da un team di professionisti (Matteo De Mayda, Cosimo Bizzarri e Derek Howard) che a gennaio scorso si sono recati in missio-ne in Kenya per conoscere le attività di Mani Tese. Agli autori, Matteo De Mayda (fotografo focalizzato su progetti sociali e campagne che mescolano sostenibili-tà e branded content) e Cosimo Bizzarri (giornalista e copywriter che si dedica a progetti multidisciplinari al confine tra design e storytelling) abbiamo chiesto di raccontarci la loro esperienza in Africa e come è nata l’idea della campagna di Mani Tese.
Redazione: Cosa vi è rimasto nel cuore della vostra missione in Kenya?
Matteo e Cosimo: È stata una grande esperienza, che ci ha portato a vedere luoghi ed entrare in contatto con persone cui difficilmente avremmo avuto accesso senza la guida di Mani Tese. La dignità, l’orgoglio, la generosità di chi abbiamo incontrato ci ha sorpreso, ci ha scaldato e ha lasciato il segno anche sul nostro rientro in Italia: ci siamo scoperti a dare una prospettiva diversa a certe cose che ci stavano succedendo, con più distacco e più filosofia. Al di là del valore giornalistico del nostro lavoro, è un viaggio che ci ha fatto bene fare.
R: Ci raccontate la genesi del concept della campagna?
M. e C.: Quando ci è stato chiesto di sviluppare una campagna per Mani Tese l’imperativo è stato da subito quello di evitare la pornografia della povertà così diffusa nella comunicazione umanitaria. Ci interessava presentare i destinatari dell’attività di Mani Tese come persone con dignità, orgoglio, energia, che hanno bisogno di supporto piuttosto che di carità. Eravamo in cerca di un nuovo linguaggio. Una sera, mentre eravamo ancora in Kenya, stavamo guardando le foto scattate durante la giornata e ci siamo soffermati su quella della contadina Dorothy con la capra da latte che le aveva donato Mani Tese. Un po’ per scherzo ci è venuto in mente l’adagio ‘sgarbiano’: “Capra!”. Da lì l’idea di una serie di claim in cui quello che è un considerato un insulto nel discorso pubblico e mediatico italiano si trasforma in un’esclamazione di gioia nel contesto del Kenya rurale. Per ultimo è venuto il payoff: “Manda il 5×1000 a quel Paese!”.
R: Qual è il vostro soggetto preferito?
M. e C.: Naturalmente tutti i soggetti della campagna sono persone che ci hanno dedicato il loro tempo e le loro parole. Sicuramente dal punto del racconto visivo la storia più forte è quella dei fratelli Lesingo, che salgono in cima agli alberi per raccogliere il miele. Poi ci è rimasta nel cuore Irene, una 23enne della comunità Ilchamus che lavora per Necofa, il partner di Mani Tese in Kenya. Irene vive su una piccola isola in mezzo al Lago Baringo. Tra gli Ilchamus, le donne si sposano e cominciano a fare figli da adolescenti. Invece Irene ha combattuto contro gli stereotipi di genere, si è laureata a pieni voti con un corso a distanza e ora lavora come operatrice sociale sull’isola. Il suo lavoro è mettere in guardia le giovani Ilchamus rispetto ai rischi connessi all’infi-bulazione genitale femminile e insegna-re loro la pianificazione famigliare e le basi dell’informatica. Un grande esem-pio di volontà, visione ed emancipazione in un contesto difficile.
R: Che cosa avete capito o imparato al termine di quest’avventura?
M. e C.: Durante il nostro viaggio abbiamo visto da vicino come un piccolo aiuto finanziario possa trasformarsi in una scuola, una casa o un allevamento di maiali. E abbiamo toccato con mano la gratitudine che i destinatari dei progetti nutrono per le persone straordinarie che ogni giorno s’impegnano perché quell’aiuto finanziario venga usato al meglio e i suoi benefici si propaghino nel tempo. Ci riferiamo a Samuele Tini, il referente di Mani Tese in Kenya, veramente un uomo rinascimentale che sa progettare un po’ di tutto, da un’arnia a un sistema d’irrigazione a una bottega che vende carne. A Samuel Muhunyu, il fondatore di Necofa, un grande leader profondo conoscitore del contesto in cui opera. E ai professionisti, preparatissimi e disponibili, che lavorano con loro: John, John Wachira, Duke, Peter, Sammy, Hannington, Irene, Lucy, Jane, Samuel, Zakayo, Wycliffe. Il 5X1000, una volta mandato a quel Paese, è in buone mani.