04/12/2019
A Novembre Mani Tese ha aderito in Guinea-Bissau alla campagna mondiale dei “16 giorni di attivismo contro la violenza di genere”. Durante questa occasione, abbiamo chiesto alla nostra collaboratrice Nadilé, impegnata nel contrasto alla violenza contro le donne, di raccontarci la sua storia.
Nadilé Garcia Baticã ha 28 anni ed è assistente di protezione nel progetto “Integrazione locale dei rifugiati senegalesi in Guinea Bissau” cofinanziato da cofinanziato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR).
“Ho sempre voluto lavorare per porre fine alla violenza di genere. Un’opportunità che si è potuta concretizzare quando ho iniziato a lavorare con Mani Tese nel 2018 nell’ambito del progetto di integrazione dei rifugiati senegalesi come assistente dell’area protezione. L’obiettivo dell’area protezione è infatti la promozione della convivenza pacifica all’interno della comunità guineense, la protezione delle persone più vulnerabili e la sensibilizzazione per la lotta contro la violenza di genere.
Ho iniziato ad appassionarmi al tema dei diritti delle donne come militante nella Rete Nazionale delle Associazioni Giovanili (RENAJ), una struttura creata per il coordinamento e il sostegno delle associazioni giovanili della Guinea-Bissau. All’epoca ricoprivo il ruolo di responsabile del dipartimento per la promozione della parità di genere promuovendo attività a favore delle ragazze. Oggi, in qualità di volontaria, ricopro la carica di presidente del tavolo dell’Assemblea di Renaj. Sebbene esistano leggi in vigore in questo ambito, la situazione della Guinea-Bissau è la stessa di molti altri Paesi nei quali vengono quotidianamente violati i diritti delle donne.
Con Mani Tese, nella regione di Cacheu, lavoriamo con le comunità per tentare di ridurre i casi di violenza di genere attraverso la promozione di attività di sensibilizzazione sui fattori che causano la violenza, sulle conseguenze e su come evitarla per costruire una comunità pacifica e libera da abusi. Nel progetto sviluppiamo inoltre attività di sensibilizzazione nelle scuole rivolte ai minori su violenza di genere, diritti dei minori e promozione dei valori dei diritti umani in ambito scolastico. In 3 anni di progetto, Mani Tese ha registrato, nei 38 villaggi della regione di Cacheu in cui lavora, più di 80 casi di violenza di genere, la maggior parte dei quali sono casi di violenza domestica.
Diversi sono stati i casi di violenza psicologica ed economica, di violenza sessuale e di matrimoni forzati. La cosa sconvolgente, per noi che tentiamo di sensibilizzare le persone alla denuncia secondo le leggi vigenti nel Paese, è che soltanto a seguito di due di questi casi si è verificato un processo legale regolare.
Il ricorso alla giustizia per atti di violenza domestica e di genere è un aspetto su cui il mio Paese deve ancora lavorare per poter dare la giusta dignità alle vittime.
Io, come donna empatica nei confronti delle vittime alla violenza, penso comunque che l’interesse delle vittime non sia solo l’azione legale ma anche un aiuto nel loro recupero emotivo, psicologico e sociale. Nonostante nel Paese non esistano programmi per il supporto e la protezione delle vittime, Mani Tese, attraverso questo e altri progetti, cerca infatti di dare appoggio, accompagnamento e speranza a queste donne organizzando, fra le altre cose, incontri in collaborazione con gli assistenti sociali degli ospedali di São Domingos e Canchungo. La violenza non si combatte solo con la creazione di leggi, ma con tutta una serie di azioni volte alla sensibilizzazione e alla presa di consapevolezza collettiva del fenomeno, che possano portare a un cambiamento di mentalità e di comportamenti per raggiungere una vera uguaglianza di genere.
La violenza colpisce infatti donne e ragazze non solo in famiglia ma anche sul posto di lavoro, a scuola, in politica…È una pratica sistemica diffusa in tutti i settori della vita. Per questo motivo, l’attività di sensibilizzazione che promuoviamo è rivolta a donne, bambini ma soprattutto agli uomini che sono spesso gli autori degli abusi. La frase che sento spesso dire dalle donne e ragazze che aiutiamo è questa: “Se denuncio mio marito, com’è che poi posso tornare a casa?”. Oltre la violenza, queste donne subiscono anche l’impotenza di poter fare ciò che è giusto perché la società impone loro il peso dell’umiliazione della famiglia nell’atto di denuncia. Ecco perché l’emancipazione femminile diventa necessaria e imperativa. Io, con il mio piccolo contributo, lavorerò sempre perché questo cambiamento di mentalità possa essere il futuro del mio Paese”.