17/01/2014
La crisi sud sudanese ha avuto un impatto drammatico sul lavoro di Mani Tese nel paese, in particolare sul programma in via di realizzazione nello stato di Unity, dove, anche prima della crisi attuale, si concentravano enormi problemi.
Il più rilevante era il ritorno di intere comunità ai luoghi di origine dopo decenni di guerra civile. Il flusso di decine di migliaia di persone era cominciato nel 2005, con la firma degli accordi di pace, e si era intensificato dopo l’indipendenza, raggiunta nel 2011. Era necessario sostenere il loro reinsediamento e la ricostruzione del tessuto economico e sociale.
Mani Tese ha lavorato per facilitare questo difficile processo, in coordinamento con le agenzie internazionali dell’Onu e altre Ong locali e internazionali. Ha concentrato la sua attività nella contea di Pariang, la più settentrionale, ai confini con lo stato sudanese del Sud Kordofan, in cui all’emergenza dei rimpatriati si aggiunge quella di oltre 78.000 profughi, in fuga da un altro conflitto, combattuto in Sudan. Quest’anno si preparava ad estendere il suo intervento nella contea di Rubkona. Con fondi gestiti da OCHA, l’agenzia delle Nazioni Unite che coordina gli interventi umanitari, vi ha realizzato progetti di emergenza, sostenendo soprattutto le donne nell’iniziare attività generatrici di reddito in agricoltura, nella trasformazione dei prodotti agricoli e nel piccolo commercio. Interveniva anche a sostegno dell’educazione di base, coinvolgendo le comunità nella costruzione di spazi educativi, realizzati con materiali locali, e diffondendo buone pratiche di protezione delle bambine e dei bambini nelle situazioni di crisi. A Pariang Mani Tese stava anche allestendo una base locale, che avrebbe permesso di consolidare il lavoro, con una presenza di medio periodo, volta a sostenere lo sviluppo comunitario.
Un altro grave problema in Unity è il degrado del territorio dovuto alle distruzioni della lunghissima guerra civile con il Nord, all’industria petrolifera che si è sviluppata in un contesto inconsapevole e di fatto senza regole codificate, all’assenza di una gestione organizzata e trasparente delle risorse naturali e dei servizi di base, quale il rifornimento idrico e lo smaltimento dei rifiuti. In questo settore Mani Tese stava lavorando al rafforzamento delle capacità della società civile di informare la cittadinanza e di orientare il governo locale ad affrontare la situazione. Con fondi della locale delegazione europea, si stava formando una rete di organizzazioni (una quarantina i gruppi coinvolti) e si stava elaborando una carta sui diritti ambientali che si sarebbe presentata nei prossimi mesi al policy makers di Unity. Nel progetto erano coinvolte anche una ventina di scuole, dove erano nati club di piccoli ambientalisti. L’ufficio di Mani Tese a Bentiu, la capitale dello stato, dove si coordinavano queste attività, era diventato un punto di riferimento per le associazioni locali, e anche per i funzionari dell’amministrazione locale interessati ai temi ambientali.
Bentiu, insieme alla sua città gemella Rubkona, è stata praticamente rasa al suolo e incendiata; il mercato, le banche, gli uffici razziati; moltissimi i morti anche tra i civili, molti uccisi a sangue freddo dall’etnia rivale. Lo stesso è avvenuto a Pariang. La popolazione è fuggita, mettendosi in salvo nelle zone rurali, senza poter essere raggiunta dagli aiuti internazionali.
Anche l’ufficio di Mani Tese a Bentiu e la base di Pariang sono stati razziati e parzialmente distrutti. Il danno economico è stato molto rilevante, ma ancor maggiore il danno all’operatività. Sarà difficile ritornare ad essere attivi ed efficienti. Alla fine, speriamo prossima, della tremenda tempesta, si dovrà ricominciare tutto da capo, in un contesto ancor più problematico e senza gli strumenti necessari. Ma soprattutto sarà necessario capire come rimettere insieme la gente, divisa dalle rivalità dei loro leader, e far nascere ancora la speranza, dopo che i sogni di un futuro migliore, che si incominciava ad intravvedere tra le mille difficoltà, sono stati ancora una volta così violentemente calpestati. Eppure è un compito a cui non possiamo, e non vogliamo, sottrarci.