18/12/2014
Si tratta di un passaggio chiave per la storia della cooperazione italiana, non tanto per la legge in sé, ma perché questa revisione legislativa si inserisce in un processo globale di trasformazione del settore che coinvolge tanti soggetti istituzionali e non governativi. In questo numero dedicato al futuro della cooperazione abbiamo cercato di fornire diverse analisi della situazione italiana e di quella internazionale, provando anche a immaginare quali scenari si prospettano per i prossimi anni.
Ora però vorrei fermarmi brevemente su una questione di fondo: c’è ancora bisogno della cooperazione? Sulla spinta di una legittima aspirazione all’efficienza dell’aiuto, infatti, molte istituzioni si sono progressivamente concentrate sull’esigenza di ottenere risultati specifici in termini di riduzione della povertà, accesso all’educazione, miglioramento della salute. L’attenzione si è spostata sui risultati, sempre più parcellizzati, lasciando progressivamente da parte la riflessione sulle cause, sulle responsabilità di questa situazione. In questo scenario diventa sempre meno rilevante chi agisce e con quali finalità lo fa, perché l’importante è che contribuisca alla “lotta alla povertà” in modo efficace: il movimento dell’”effective altruism“, che si sta rapidamente sviluppando negli Stati Uniti, va proprio in questa direzione, promuovendo tutte le organizzazioni che sono in grado di fornire il migliore rapporto tra dollari donati e vite salvate. Per dirla con Deng Xiaoping, che di realpolitik se ne intendeva, “Non importa se il gatto è bianco o nero, l’importante è che mangi i topi”.
Ora, per rimanere nella metafora, penso che in questo contesto il colore del gatto conti, e non poco: Shell Nigeria, tanto per fare un esempio facile, è tra i principali contributori della Commissione Sviluppo del Delta del Niger, uno dei luoghi nel mondo in cui il danno ambientale causato dall’estrazione di petrolio è più grave.
Esempi come questo sono all’ordine del giorno e potrebbero rappresentare il futuro di una ‘cooperazione’ sempre più efficiente, sempre più utile anche ai paesi ricchi, ma sempre meno interessata a rimuovere le cause della disuguaglianza e dell’ingiustizia. Credo dunque che sia molto importante capire chi agisce e con quali obiettivi lo fa. Solo questo ci permette di distingue la carità, sentimento certamente nobile – quando disinteressato – indirizzato all’assistenza dei più deboli, dalla cooperazione, che si propone di costruire insieme un diverso modello di società, meno ingiusto. Non trovo parole migliori per esprimere questo concetto di quelle espresse dal Papa in occasione dell’incontro con i movimenti popolari: “Che triste vedere che, dietro a presunte opere altruistiche, si riduce l’altro alla passività, lo si nega o, peggio ancora, si nascondono affari e ambizioni personali: Gesù le definirebbe ipocrite. Che bello invece quando vediamo in movimento popoli e soprattutto i loro membri più poveri e i giovani. Allora sì, si sente il vento di promessa che ravviva la speranza di un mondo migliore. Che questo vento si trasformi in uragano di speranza. Questo è il mio desiderio”.