12/01/2017
In occasione dell’uscita del suo libro “La cooperazione allo sviluppo in Africa” (Mimesis Edizioni), abbiamo intervistato Valerio Bini, Presidente di Mani Tese, per fare il punto sulla cooperazione internazionale oggi.
Redazione: Com’è cambiato il mondo delle ONG dopo l’entrata in vigore della recente riforma sulla cooperazione internazionale (legge 125)?
Bini: La legge ha dato una nuova attenzione alla cooperazione internazionale, legando in modo più stretto questo settore alle strategie di politica estera. Questo elemento rappresenta per le ONG un’opportunità e un rischio.
Un’opportunità perché riporta la cooperazione al centro del dibattito, un rischio perché la cooperazione potrebbe essere indirizzata a servire interessi diversi da quelli delle popolazioni locali, mettendo in grave difficoltà le Organizzazioni Non Governative.
Questo tema si riflette anche in una delle caratteristiche salienti della riforma. La nuova legge infatti ha allargato molto lo spettro degli attori coinvolti nella cooperazione, includendo il commercio equo, la finanza etica, le associazioni di migranti e il settore privato. Questo allargamento può rappresentare un arricchimento per la cooperazione stessa, ma presenta alcune criticità, in particolare relativamente al ruolo delle imprese. Se non adeguatamente regolato, infatti, il coinvolgimento delle imprese rischia di ridurre la cooperazione a uno strumento per l’internazionalizzazione dell’economia italiana, creando contraddizioni tra finalità sociali e interessi privati.
R: Nel libro si parla di immagine distorta della cooperazione trasmessa dai media. Che tipo di rappresentazione è stata data e quali problemi ha comportato per il vostro lavoro?
B: La grande scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie in un bellissimo intervento ha parlato del pericolo della “single story”, del racconto a senso unico della povertà africana che dimentica le tante ricchezze materiali e immateriali del continente. Naturalmente i problemi africani sono tanti, ma questa visione riduttiva della società ha prodotto, negli anni, delle pratiche di “aiuto allo sviluppo” di tipo paternalistico, lontane dall’idea di partenariato paritario che è alla base dell’idea stessa di cooperazione.
Esiste una società civile africana molto forte che non può più essere considerata come un beneficiario passivo dell’aiuto allo sviluppo e deve viceversa diventare alleata in progetti e campagne di sensibilizzazione per cambiare in meglio la società, in Europa e in Africa.
R: Quale sarà, secondo lei, il futuro della cooperazione internazionale?
B: Questa nuova cooperazione che coinvolge molti attori diversi può svilupparsi lungo due percorsi, per certi versi opposti.
Se la cooperazione internazionale si schiaccia troppo sugli interessi del paese donatore, rischia di diventare una delle tante strategie che gli Stati e le grandi imprese mettono in atto per espandere la loro sfera di influenza. In questo caso le ONG perderanno progressivamente di importanza e la cooperazione si ridurrà a un rapporto di mutuo interesse economico tra singoli Stati.
Se invece questo ampliamento degli attori coinvolti verrà declinato nel senso di una mobilitazione allargata per combattere le ingiustizie, ci sono grandi margini di miglioramento. I nuovi soggetti possono infatti portare punti di vista diversi e competenze prima assenti che saranno fondamentali per creare collaborazioni più forti con le organizzazioni partner africane. Se sapremo trovare obiettivi e metodi condivisi, questa cooperazione sarà di gran lunga migliore di quella del passato. Esistono già esempi di collaborazione virtuosa tra ONG e organizzazioni di migranti, finanza etica, piccole imprese innovatrici, italiane e africane. Si tratta di superare la fase delle “buone pratiche” e perseguire un modo nuovo di fare cooperazione, più complesso, ma più ricco.
R: Quali sono le difficoltà da affrontare e gli errori più comuni da evitare nei rapporti con le popolazioni locali da parte di chi si occupa di cooperazione?
B: E’ difficile rispondere brevemente a una questione così importante. Di certo la cooperazione con le società africane è di per sé un’attività complessa perché mette in relazione società distanti, fisicamente e socialmente, e perché si porta dietro decenni di malintesi iniziati in epoca coloniale e proseguiti fino ad oggi. L’errore più comune per la cooperazione è stato il voler imporre dall’esterno delle soluzioni tecniche pre-definite senza preoccuparsi di conoscere le realtà locali e i progetti che le società africane stavano producendo.
Cooperare significa per me costruire una relazione di lungo periodo, fatta in primo luogo di ascolto e comprensione. Una comprensione non facile, perché non siamo stati educati a capire società diverse dalla nostra. Quando però riusciamo a decentrare il nostro sguardo e a metterci realmente in ascolto, possiamo accedere a una molteplicità di saperi e di esperienze che semplicemente ignoravamo. Quello è il punto di partenza per la cooperazione.
R: Mani Tese ha realizzato diversi progetti di successo nell’ambito della cooperazione allo sviluppo. Come individuate solitamente gli ambiti e i Paesi in cui operate e come scegliete i partner in loco ideali per una proficua collaborazione?
B: Per noi è centrale la possibilità di costruire partenariati di lungo periodo. In alcuni paesi come il Benin, il Burkina Faso o la Guinea Bissau siamo presenti in modo continuativo almeno dagli anni Settanta e questo ci ha permesso di costruire dei rapporti solidi con le società locali. Naturalmente il nostro modo di lavorare è cambiato nel corso del tempo, ma è stato un processo di apprendimento portato avanti in collaborazione con i nostri partner locali. In Benin, ad esempio, inizialmente finanziavamo progetti semplici, come scuole e pozzi, e ora stiamo lavorando da quasi dieci anni con delle cooperative di donne che producono e vendono il gari, un alimento tipico dell’Africa occidentale. Si tratta di progetti più complessi, strettamente collegati con le campagne di sensibilizzazione sul diritto al cibo locale che promuoviamo in Italia. Questa evoluzione è stata possibile grazie al rapporto pluridecennale che abbiamo costruito con il nostro referente locale, Achille Tepa (che tra l’altro è anche socio di Mani Tese).
Questa visione di lungo periodo non ci impedisce di avviare partenariati nuovi. Recentemente, ad esempio, ho avuto la possibilità di vistare i nostri progetti in Kenya, un paese nel quale operiamo da meno di dieci anni. Qui ho potuto parlare a lungo con i membri di Necofa, il nostro partner in loco e apprezzarne la capacità organizzativa e la profondità dell’analisi socio-politica. Credo che queste due dimensioni – l’efficacia nell’azione concreta e la visione politica complessiva – siano le due qualità principali nella scelta di un partner locale.
Leggi la scheda del libro “La cooperazione allo sviluppo in Africa”