24/07/2018

di FABRIZIO BOLDRINI e MARIA RITA BRACCHINI, Pedagogisti della FONDAZIONE Hallgarten-Franchetti Centro Studi Villa Montesca*

EDUCARE È UN PROCESSO COMPLESSO CHE COINVOLGE NON SOLO DOCENTI E GENITORI: COSTRUIRE UN COMUNE TERRENO DI VALORI È LA SCOMMESSA PER UNA COMUNITÀ REALMENTE EDUCANTE.

Per educare un bambino ci vuole un villaggio, recita un proverbio africano molto citato e di moda. Tanto che anche il Santo Padre lo ha ripreso in un celebre intervento nel 2010. Ma che significa veramente? E chi abita in questo villaggio educativo?

In realtà il detto popolare fa riferimento ad un concetto molto complesso, che ha conseguenze sul piano pedagogico ed una profonda portata pratica. Maria Montessori, circa cento anni fa, l’aveva spiegato con parole piuttosto semplici indicando come educare, far crescere i bambini è il frutto di un processo che non può fermarsi appena incontra le mura della scuola, o l’inferriata del suo giardino. Fuori c’è la Comunità. Con le sue relazioni, i suoi bisogni e la sua dinamica educativa.

Spesso non ci si pensa, ma i nostri figli e le nostre figlie nel corso della loro giornata incontrano vari educatori/trici. Incontrano il loro allenatore, il loro punto di riferimento nella comunità religiosa, il loro amico più grande, e naturalmente i loro genitori. Molti di questi educatori non sanno di esserlo; forse alcuni lo intuiscono, altri lo deducono per sensibilità; alcuni però lo ignorano totalmente. Non certo perché non sono laureati in pedagogia, ovviamente, ma perché non hanno piena consapevolezza di come i propri indirizzi impattano sulla vita, anche futura, dei ragazzi che gli sono “affidati”.

Questo comporta un rischio, che noi chiameremo “conflitto educativo”. E’ una parola forte, ma che rende l’idea. Avviene quando i ragazzi sono al centro di vari processi educativi, che non sono convergenti. Cioè quando i messaggi che i ragazzi ricevono sono diversi e spesso in contraddizione. Per questo ci vuole un “villaggio”, proprio quello del proverbio. Ci vuole una Comunità.

Nella Comunità che educa, gli adulti hanno negoziato e discusso i valori che intendono trasmettere ai membri della comunità stessa. Valori che si traducono in comportamenti. Facciamo un semplice esempio. Possiamo dire che i “valori sono figli delle emozioni” come ha detto Goleman, uno psicologo americano molto celebre, e possiamo anche dire che questo ci conduce per una via piuttosto complicata, che rende non così semplice negoziare i valori.

Perché la nuova generazione di rapporti sociali e i nuovi modelli educativi necessari per favorire l’accompagnamento dei ragazzi verso una nuova dimensione delle relazioni chiama gli adulti a nuove responsabilità e la società sta cambiando, o meglio è già profondamente diversa da quella del villaggio tradizionale, dove le relazioni erano dirette, fra persone che avevano una storia comune. In questa dimensione nuova si sviluppano anche nuove forme di esclusione. Ma dicevamo di comportamenti e di conseguenze sul tema valoriale. Per allargare il nostro esempio alla vita di tutti i giorni, noi possiamo dire che siamo tutti d’accordo nell’affermare che salutarci quando ci si incontra è necessario e utile a creare uno stile positivo di relazione.

E’ così importante che trasmettiamo questo codice valoriale: il rispetto reciproco ai nostri ragazzi ed alle nostre ragazze e lo traduciamo in un comportamento. Quando ci si incontra ci si saluta! Il nostro codice salta se sono gli adulti a non applicarlo o se alcuni adulti lo applicano (a scuola) altri no (a casa o al campo sportivo) o viceversa naturalmente. Una Comunità educante è dunque questo. Prendere atto che il tema dell’educazione è un tema diffuso, ma che per avere una vera trasmissione di valori comuni e positivi, lo sforzo deve essere fatto da un sistema di relazione, da una Comunità appunto. Un villaggio nuovo, le cui strade sono le nostre relazioni reciproche fatte anche di sguardi su culture diverse e le cui piazze sono oggi anche i luoghi virtuali.

*La Fondazione “Hallgarten-Franchetti Centro Studi Villa Montesca” eredita la tradizione delle attività educative dei baroni Leopoldo ed Alice Franchetti che agli albori del Novecento fondarono a Villa Montesca (Città di Castello, Perugia), sede anche dell’attuale Fondazione, due innovative scuole rurali. La fondazione opera per la promozione dell’apprendimento per tutto l’arco della vita come strumento per il miglioramento e il potenziamento delle opportunità sociali. La Fondazione è inoltre Fondatore della rete Europea contro il Bullismo (www.montesca.eu)

POVERTÀ EDUCATIVA: UN’EMERGENZA SILENZIOSA

Secondo L’Atlante dell’infanzia a rischio 2017 ( Save the Children-Treccani) per povertà educativa si intende “la privazione da parte dei bambini e degli adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”. In Italia la povertà educativa è in aumento. Secondo l’Istat l’incidenza della povertà assoluta nelle famiglie con almeno un minore è passata dal 2% al 9,9% tra il 2006 e il 2016, per un totale di oltre 1.292.000 minorenni colpiti. Nello stesso tempo la spesa pubblica destinata all’istruzione è scesa del 7% rispetto al 2010, attestandosi al 4% del PIL. Con la legge di Stabilità 2016 l’Italia ha creato il “Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile”, di durata triennale, che mira a rendere operante una strategia complessiva nazionale, alimentata e ispirata dalle migliori esperienze territoriali.

 

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