Attualità

Aggiornamento sulla crisi sud sudanese


14/01/2014

Un mese fa il Sud Sudan è precipitato in un conflitto che diventa più complesso e ingestibile ogni giorno che passa.

Dall’inizio di gennaio sono in corso ad Addis Abeba le trattative per concordare il cessate il fuoco ma per ora non sono stati raggiunti risultati tangibili. Nonostante le fortissime pressioni internazionali, nessuna delle due parti ha ceduto di un millimetro sulle sue posizioni iniziali. Il presidente Salva Kiir sostiene che la crisi è dovuta a un tentativo di colpo di stato da lui sventato; l’arresto di 11 avversari politici, a suo giudizio implicati, ne è una conseguenza legittima e il loro destino sarà deciso dalla legge del paese. L’ex vicepresidente Rieck Machar, a capo della rivolta armata, sostiene invece che non c’è stato nessun tentativo di colpo di stato; l’attuale crisi sarebbe dovuta alla manipolazione di uno scontro all’interno delle guardie presidenziali, utilizzato per neutralizzare l’opposizione interna la partito di governo, l’SPLM. Dunque gli 11 politici arrestati sono prigionieri di coscienza e la loro liberazione è il prerequisito indispensabile per iniziare a discutere del cessate il fuoco e poi della composizione del conflitto.

Intanto nel paese continuano, violentissimi, gli scontri che, fin dal primo giorno, hanno assunto anche una connotazione etnica: i Dinka del presidente contro i Nuer del vicepresidente. Secondo stime avanzate da un autorevole centro di ricerca per la prevenzione dei conflitti, l’International Crisis Group, sarebbero ormai più di 10.000 i morti, moltissimi dei quali civili, molti uccisi a sangue freddo da militari dell’etnia rivale. Il conflitto ha messo a ferro e fuoco quattro degli stati di cui è composta la Repubblica del Sud Sudan e precisamente: il Central Equatoria, dove si trova la capitale, Juba; i due stati petroliferi al confine con il Sudan, Unity e Upper Nile; e Jonglei già tormentato da molti mesi da pesanti scontri interetnici. Altri sono coinvolti marginalmente da scontri armati, sempre più frequenti e diffusi con il passare dei giorni, in genere provocati da ammutinamenti e defezioni di parti dell’esercito che si uniscono alla ribellione; altri ancora dal flusso degli sfollati, che, secondo stime delle agenzie dell’Onu, sono ormai più di 400.000, circa 80.000 dei quali ammassati nei campi della missione di pace, UNMISS, presente in tutti le capitali di stato e in altri posti particolarmente a rischio di instabilità. E’ dunque una crisi globale, che investe tutto il paese.

sudsudan

Dopo i primi giorni, in cui gli scontri hanno investito Juba, i combattimenti più violenti e distruttivi si sono svolti per il controllo di Bor, Malakal e Bentiu.

Bor (Jonglei) e Malakal (Upper Nile) sono attualmente teatro di durissime battaglie per il controllo delle due città, strategiche per il controllo di una buona parte delle riserve petrolifere e delle vie di comunicazione in tutto l’est del paese.

Bentiu capoluogo di Unity, era controllata dalle forze fedeli a Machar fino al 9 gennaio, poi è stata riprese dalle truppe governative. Negli scontri la città, insieme alla città gemella di Rubkona, importante porto sul Bar El Ghazal, che garantiva buona parte del rifornimento di beni di prima necessità a tutto il nord dello stato, è stata razziata, incendiata e praticamente rasa al suolo.

La città ha un alto valore economico, essendo nel mezzo dei campi petroliferi che producono il 30% di tutto il greggio sud sudanese, ma soprattutto simbolico. Infatti Unity è lo stato di cui sono originari Machar e l’attuale capo mediatore di Machar ad Addis Abeba, Taban Deng, che di Unity è stato anche governatore fino al giugno scorso, quando il presidente Kiir lo ha sollevato dall’incarico.

Di Bianca Saini

trova tutti gli articoli
 
Commenti

iscriviti alla nostra newsletter
Ricevi i nostri aggiornamenti